Zaia sulle liste d’attesa: «Bene gli sforzi di Roma, ma qui siamo più avanti»
Il decreto governativo per la riduzione delle liste d’attesa in sanità non suscita particolare entusiasmo tra gli amministratori di Palazzo Balbi, lesti a rivendicare standard più avanzati rispetto alla media nazionale.
«Ben vengano queste decisioni a patto che ci sia una leale collaborazione a livello nazionale», il commento del presidente Luca Zaia, ansioso evidentemente di conoscere quale sarà la copertura finanziaria del programma. «Nei nostri ospedali - assicura - la situazione è in forte miglioramento. Il Covid ci aveva lasciato mezzo milione di visite arretrate ma oggi i numeri sono incoraggianti: azzerate le attese a 10 giorni, sono crollate anche nelle altre categorie. Peraltro, molte delle iniziative comprese nel decreto qui sono state già attivate, a partire dall’apertura degli ospedali di notte e nei weekend che, primi in Italia, abbiamo voluto dieci anni fa».
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I numeri
Permane tuttavia la carenza di medici: i 12 mila in servizio (su un totale di 64 mila dipendenti) appaiono nettamente insufficienti. «Anzitutto, siamo vincolati dalle norme europee che prevedono un riposo di almeno 11 ore ogni 12 lavorate, con conseguenti difficoltà a spingere oltre l’orario canonico. Le assunzioni? Dal 2019 ad oggi ne abbiamo fatte 3. 300 ma il saldo è ancora negativo semplicemente perché il mercato non offre i professionisti e i bandi vanno deserti. Nel 2023 ne abbiamo completati 113, con soli 390 medici assunti a fronte di 1023 posti liberi».
Tutto questo, conclude Zaia, «a fronte di un’offerta diagnostica che in pochi anni è balzata dalla lastra alla Tac, alla Risonanza magnetica, alla chirurgia robotica. Una sfida cruciale, che non può essere sottratta al territorio: è nell’ultimo miglio, come dimostrato con la pandemia, che si risolvono i problemi, con l’efficienza e un piglio manageriale, lasciando a Roma un giusto e ovvio controllo, perché si sta parlando di soldi pubblici».
Il presidente allude al nuovo Piano di governo delle liste di attesa, in dirittura d’arrivo all’assemblea regionale. Accompagnato da un finanziamento di 40 milioni, aggiorna il precedente introducendo regole più stringenti: la visita entro 24 ore per la priorità U-Urgente (contro le 72 ore “ministeriali”); entro 10 giorni dalla prenotazione nella fascia B-Breve (uguale alla tempistica romana); entro 30 giorni per la D-Differibile (contro 60 giorni); entro 60/90 giorni dalla prenotazione in caso di P-Programmata (a fronte di 120). Ancora, il pre-appuntamento per garantire la “presa in carico tracciata” del paziente e il successivo contatto per completare la prenotazione.
Tetto di spesa
Al riguardo, le prestazioni costantemente monitorate lieviteranno dalle attuali 69 ad 83.
Ma le indicazioni del ministro Schillaci sono state anticipate anche sul versante del tetto di spesa nel reclutamento dei medici: «Abbiamo definito la quota oraria a 100 euro per i professionisti ai quali affidiamo incarichi di lavoro autonomo, riuscendo così ad ingaggiare 25 specialisti, di cui 13 dermatologi e 12 oculisti», fa sapere l’assessore alla salute Manuela Lanzarin «ora adotteremo la stessa procedura per assumere gastroenterologi, ortopedici e fisiatri che sopperiscano all’accresciuta domanda ambulatoriale».
Critiche
Le critiche, tuttavia, non mancano.
«Quello del consiglio dei ministri è uno spot elettorale, privo di investimenti reali e sostanzialmente inutile, come d’altra parte è il piano del Veneto», l’accusa dei consiglieri regionali del Pd, «è inutile prevedere il recupero degli arretrati nelle ore notturne o nei fine settimana se poi non si mettono soldi e personale adeguati. Così come resta pura teoria il monitoraggio se non viene formato il personale dei Cup. Al di là dell’aumento dei limiti di spesa per l’acquisto di prestazioni sanitarie da privati accreditati, non ci sono stanziamenti concreti».
E al riguardo, Giuseppe Puntin, il presidente dell’Associazione ospedalità privata del Veneto, già batte cassa: «Siamo pronti a contribuire al recupero delle liste d’attesa, abbiamo però la necessità di lavorare con maggiore flessibilità rispetto ai tetti di spesa che, salvo i pochi incrementi concessi di recente, sono fermi agli importi del 2005».