Super lavoro, stipendi inadeguati: ecco perché trovare medici in Italia è sempre più difficile
Meglio non ammalarsi. Soprattutto d’estate, perché il rischio di non trovare qualcuno che ci curi d’estate è più alto. Infermieri e medici, come tutti, hanno diritto alle loro ferie e le strutture sanitarie non ne hanno in numero adeguato da poter garantire le ferie ai loro dipendenti e le cure agli assistiti e alla fine un prezzo elevato lo pagano sia i primi che i secondi, i primi perché i richiami al lavoro, i rinvii e le rinunce al meritato riposto sono frequentissimi; i secondi perché nonostante il sacrificio di molti, l’assistenza rischia di non essere adeguata.
In realtà non è come dovrebbe essere in nessun mese dell’anno e la colpa non è della malasanità ma della cattiva politica sanitaria che ha imposto dal Servizio Sanitario Nazionale una dieta ferrea che ha reso sempre più difficile a questa preziosissima infrastruttura sociale del Paese soddisfare le esigenze di salute degli abitanti. La dieta è cominciata nel 2005 quando una legge infausta che porta il numero 266 stabilì che le spese di personale non avrebbero dovuto superare per il 2006, 2007 e 2008 quanto speso nel 2004 ridotto dell’1 per cento.
La legge 226 del 2005
Come spesso accade in Italia il provvedimento che doveva durare tre anni è arrivato con varie revisioni fino al 2020. L’esito di tutto ciò è che la sanità pubblica soffre di una pesantissima carenza di infermieri e in alcuni settori anche di medici.
Cominciamo da questi ultimi. In Italia ne abbiamo abbastanza, 4,1 per ogni mille abitanti e siamo in linea con gli altri Paesi avanzati, ma sotto la linea se teniamo conto la quota della popolazione che supera 75 anni di età.
Il problema è che non ce ne sono abbastanza nel settore pubblico e che c’è una crescente tendenza a lasciarlo per andare nel privato o all’estero.
Si stima che nel 2021 abbiano lasciato il SSN per andare nel privato o all’estero 2. 700 medici, seguiti da 4 mila nel 2022 e 5 mila nel ’23. Tra il 2019 e il 2021 le stesse scelte hanno fatto 18 mila infermieri. Non sarebbe una tragedia se ci fosse un flusso nell’altro senso, ma questo flusso non c’è: i medici formati all’estero da noi non raggiungono l’1%, contro il 30 del Regno Unito, il 13 della Germania e l’11 della Francia.
La ragione per la quale da fuori non vengono è la stessa per la quale dall’interno se ne vanno: super-lavoro causato dalla carenza di personale e salari inadeguati.
Il confronto internazionale è impietoso, secondo i dati Ocse a parità di potere d’acquisto un medico ospedaliero italiano ha un salario medio lordo pari a 105 mila dollari l’anno mentre il suo collega olandese ne prende 192 mila, tedesco 188 mila, irlandese 169 mila, inglese 155 mila, solo francesi e spagnoli sono più o meno nella stessa situazione degli italiani.
Anche gli infermieri all’estero guadagnano significativamente di più. Contro le retribuzioni medie lorde di 34.875 euro degli italiani, ci sono gli oltre 62 mila euro degli olandesi, 54 mila dei tedeschi, 49 mila degli spagnoli e degli irlandesi, 42 mila degli inglesi e 40 mila dei francesi. La media Ue è di 43.348 euro.
L’organico
Tra bassi salari e superlavoro lavorare nella sanità pubblica è sempre meno attraente.
Al 31 dicembre del 2022, secondo i dati del Conto Annuale del Mef- Ragioneria Generale dello Stato, il personale del Servizio Sanitario Nazionale contava 681.855 unità, dei quali secondo rielaborazioni della Funzione Pubblica Cgil oltre 108 mila saranno in pensione di qui al 2026 e altri 243 mila entro il 2032.
Del personale totale 284 mila sono infermieri e 108 mila medici (poi ci sono i ruoli tecnici e tecnico-sanitari, personale per la riabilitazione, biologi, veterinari, psicologi, farmacisti, amministrativi).
Carenza
Quale sarebbe l’organico ottimale delle varie professionalità del SSN non si sa, e sarebbe invece utile per avere politiche sanitarie e risorse adeguate alle esigenze e distribuite sui territori. Tuttavia si possono usare dei parametri per capire con una accettabile approssimazione come siamo messi.
Quelli più utilizzati sono il numero di medici per mille abitanti, il numero di infermieri per mille abitanti e il numero di infermieri per medico.
Per i medici come abbiamo visto il dato italiano di 4 per mille abitanti è in linea, ma come vedremo per altri versi non lo è affatto. Per gli infermieri invece già da questo parametro emerge una situazione drammatica, sono 6,3 per mille abitanti, contro la media Ue di 8,3 e in particolare quelli dipendenti sono 5,06 per mille abitanti. Il rapporto medici-infermieri, che nella media dei paesi industrializzati (Ocse) è di 2,7 in Italia è di 1,5, davanti in Europa solo a Spagna e Lettonia.
Le stime Fp Cgil, non dissimili da altre pubblicate su riviste specializzate, sono di una carenza di 65 mila infermieri per mantenere gli standard assistenziali correnti più altri 70 mila per avvicinarci alla media Ocse. A questi saranno da aggiungere i 100 mila posti circa che saranno lasciati liberi da chi andrà in pensione di qui al 2032.
Per i medici la situazione è più variegata, le carenze sono soprattutto nella medicina di emergenza – pronto soccorso, dove in forza ci sono circa 7.500 medici ma ne servirebbero almeno altri 4.500, i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta. I medici di medicina generale sono circa 40 mila, in costante calo e per quasi metà con più di mille e 500 assistiti, che dovrebbero essere il numero massimo che però viene abbondantemente superato per la carenza di medici.
Il Veneto e le Province Autonome di Trento e di Bolzano sono tra le regioni con le percentuali più alte di medici di medicina generale con un numero troppo alto di pazienti. Secondo la Fondazione Gimbe a gennaio 2022 le carenze erano di 2.876 medici di medicina generale (482 solo nel Veneto), ma vista l’età media molto elevata i calcoli di Cgil dicono che le carenze saranno di circa 25 mila di qui al 2032.
Pediatri
Problema molto simile è quello dei pediatri di libera scelta, le cui carenza secondo Gimbe è già di poco meno di mille con carenze soprattutto in Piemonte, Lombardia e Veneto, ma che salirà visti i 1.700 pensionamenti attesi di qui al 2026.
Questi vuoti dovrebbero essere colmati da medici e infermieri in arrivo ma solo negli ultimi anni e con notevoli ritardi i posti nelle facoltà di medicina e le borse di studio per le specializzazioni sono aumentati. Dopo le tante e giustificate proteste perché i posti erano troppo pochi, è però esploso un nuovo fenomeno: la carenza di candidati.
I giovani
Il fascino esercitato dalla facoltà di medicina sulle nuove generazioni si è affievolito, e forse ha inciso l’enorme sacrificio anche di vite che il Covid ha imposto alle professioni sanitarie. E quando si stratta di scegliere la specializzazione i neolaureati tendono a preferire percorsi che lasciano più spazio alla libera professione.
Di poco più di 16 mila borse messe a disposizione da Ministero dell’Università e Regioni, oltre 6 mila non sono state richieste da nessuno. Per alcune specializzazioni si è trattato di un crollo: non sono state assegnate il 92% delle borse per medicina di comunità e cure primarie, l’89 di quelle per microbiologia e virologia, l’87 di quelle di radioterapia, il 76 di medicina d’urgenza, il 53 di anestesia e rianimazione. Quasi tutte assegnate le borse per dermatologia, cardiologia, chirurgia plastica e oftalmologia.