Nei mondi paralleli di Cosmo Sallustio
Appartato e profondo, questo pittore ha trovato una sua maniera attraverso il Novecento, in un equilibrio fra temi interiori e cronache del tempo. Una mostra lo racconta a Bergamo.
Riappare da insondabili penombre Cosmo Sallustio (1930-2010), pittore antico imprigionato in una contemporaneità minacciosa che ostacola la bellezza e la fantasia. La figlia Monica, che ha da lui tratto il talento per la scenografia, lo riesuma, troppo luminoso e scintillante, da un esilio in cui si è costretto per non cedere a una concezione dell’arte che segue mode e stagioni, che indica tendenze che obbligano a travestirsi per esistere. Sallustio ha sempre vissuto contromano, anche a proprio danno. Ma oggi - nella bella mostra con cui La Milanesiana diretta da mia sorella Elisabetta lo riscopre a Bergamo - Sallustio appare più fulgente che mai e anche refrattario, resistente alla mia volontà di interpretarlo. L’ho guardato nei suoi quadri accompagnati da lunghe didascalie illustrative, e ho provato a collocarlo nel tempo e nello spazio: anni Trenta? Anni Quaranta? Anni Cinquanta? No. Attivo nel Nord? A Roma? Nel Meridione? Mah. I riferimenti più plausibili sono maestri rari e indipendenti, come Cagnaccio di San Pietro, Ubaldo Oppi, Antonio Donghi, Riccardo Francalancia, Dyalma Stultus, Giannino Marchig, Cencio de Stefani, Dino Martens: sono artisti che io ho cercato nelle pieghe della storia e, probabilmente, in parte sconosciuti a Sallustio.
Diversi tra loro, hanno in comune con lui la libertà di invenzione di soggetti fantastici, per composizione e disobbedienza. Sono tutti, in senso lato, realisti, ma di quel realismo magico che altera la realtà e li avvicina ad alcuni grandi, riconosciuti e distinti, maestri di quella che in Germania si chiama Nuova oggettività, affine al movimento di Valori plastici. Nessun dubbio che Sallustio, pittore colto, li abbia osservati. Penso a Alexander Kanoldt, a Carl Grossberg, a Rudolf Schlichter, a Christian Schad. Dunque, Sallustio, un pittore tedesco di Molfetta, dov’era nato nel 1930.
In realtà sono parametri di appartenenza elettiva, piuttosto che il trasferimento di una vita irriducibile in un sogno. Ma allora devo osare di più, e dire che, negli inevitabili tratti novecenteschi, si avverte l’affinità con i grandi maestri del Quattrocento, in particolare con Vittore Carpaccio e con i Ferraresi come Cosmè Tura e Francesco del Cossa. Li avrà amati? Certo è un segnale, e un motivo di attrazione, il nome raro e insolito: Cosmo. Così vicino a Cosimo, poi diventato Cosmè, il più grande e fantasioso tra i pittori Ferraresi. Con queste coordinate si può tentare di intendere l’impresa rara, difficile, insolita di Sallustio. Certo, Sallustio vive altrove, e anche se gran parte della sua vita si è svolta a Roma, lo spazio della sua mente è un teatro della memoria fatto di citazioni e di ricordi.
Una città ideale, ma non perfetta, e comunque minacciata dall’infelicità, che si agita fra gli anni Settanta e i primi del Duemila. Quindi, letteralmente, un contemporaneo. Eppure, Elsa, la moglie, dipinta nel 1979, ricorda, con maggiore solidità, i ritratti di Adriana Pincherle, la sorella di Alberto Moravia; e la figlia Monica ha l’immediatezza di un Alex Katz, con grande anticipo. Nello stesso tempo, 1980, il Ritratto della madre, Maria Montaruli, è un’icona meridionale di dolore, forza e segreti, che ha il mistero di una vita non detta, come in un ritratto spagnolo del Seicento.
Le nature morte degli anni Novanta non segnano un’evoluzione. Sono oggetti inquieti e inquietanti di una realtà domestica immutabile, reliquie di un’infanzia che non può dirsi felice. Notevoli sono, dopo una riflessione sui margini del Novecento, alcune grandi opere del primo decennio del Duemila. Non un testamento ma una liberazione, dove Cosmo si ritiene sciolto da ogni parametro e da ogni obbligo di testimonianza. La sua pittura è lo specchio del suo mondo; ed ecco allora il punto di svolta, nel 1999 con Mercatino rionale ristrutturato. Una danza di donne scatenate, mentre sul fondo la madre di Cosmo prega nel suo abito scuro. Uno spazio conquistato. Nelle note leggiamo: «Dai taccuini lasciati da Cosmo si percepisce l’avversità verso un mondo sempre più globalizzato. Sente molto forte il fatto che la bottega, di qualsiasi genere essa sia, stia scomparendo».
È un manifesto della vita: di lì non sembrerà arduo spostarci all’altro capo del mondo, con Kilimangiaro, del 2001. Cosmo dipinge una realtà lontana: è l’altrove nel quale la fantasia si libera nella descrizione di abiti e di costumi di un mondo diverso, ma assolutamente contemporaneo. Resta a noi l’immagine della nostalgia, dell’infelicità vissuta, che non è la nostra, davanti a sconvolgimenti e a rivoluzioni come conseguenze delle violazioni dei diritti umani nel Paese africano.
Cosmo reagisce senza una pittura impegnata, senza denunce, elaborando una sospensione di immagini che ci allontana dal dramma del momento. Ed è per questo che è così insolito il suo 11 settembre 2001. Gli aerei che si schiantano contro le due torri sono come un aquilone. La tragedia è già stata. Ciò che arriva la sigilla in un tempo immobile, definito, mentre un messicano continua, imperturbabile, a proporre la sua bigiotteria. L’artista avverte che in quell’episodio, in apertura di secolo e di millennio, c’è un passaggio storico che annulla il passato e il presente, e cancella una falsa idea di progresso, nella irriducibile contrapposizione tra ricchezza e povertà, tra un mondo che avanza e l’arretratezza, che talvolta vuol dire salvezza di tradizioni e consuetudini, travolte da una falsa idea di modernità. Nasce così un’opera formidabile come L’obsoleto Francesco Bernardone, del 2010, interpretazione eccentrica della figura sempre attuale e insuperata di san Francesco.
L’allegoria di Cosmo è una sintesi delle storie di Giotto ad Assisi, raccontate con uno stile nuovo e insieme arcaico. E questo è l’altro mondo, e questo è l’altro tempo, nei quali vive Cosmo. Non ha riferimenti espliciti in nessuna fonte, elaborando uno stile che è soltanto suo. Il rifiuto del mondo si fa forma nuova, ed è un crescendo con un quadro ponte come 2000-2005, concepito nel 1996 come una premonizione. Si tratta di un’allegoria con simboli e moniti al centro dell’opera, con l’autoritratto dell’artista e la colonna infinita di Brancusi, spina dorsale per le numerose metafore che Cosmo rappresenta. In quest’opera vediamo l’orditura verticale della composizione che ritroveremo in un’altra prova capitale: Io pulcinella, in cui Sallustio si fa affine ad alcuni artisti solitari come Gian Filippo Usellini, Adelchi Riccardo Mantovani, Luigi Serafini. C’è rumore nel mondo; ma l’ultimo, il comico, la maschera è come Cristo tradito e sacrificato.
La parabola, come la vita di Sallustio, si chiude con un ultimo capolavoro del 2006, Il vecchio giardiniere, dove il mondo onirico è rappresentato attraverso un’altra fuga in un luogo lontano e protetto: la Cina. Il vecchio giardiniere è felice nel suo giardino, non può pensare di perderlo, in un mondo nuovo è possibile risorgere, ringiovanire, sotto la protezione della Dea dei Fiori, in un cielo raggiunto. Cosmo si ritrova dopo due traumi, l’esperienza di un nuovo Francesco e di un pulcinella crocifisso, nel giardino dell’Eden dove il tempo e la morte non esistono. Oggi quel Paradiso, che aveva dipinto per sé, è uno spazio conquistato per tutti noi.