Thaqi, l’imprenditore kosovaro che riqualifica mezza Gorizia

GORIZIA. «Siamo in Italia dal 1998. È un Paese bellissimo. Sin dal primo momento abbiamo trovato famiglie che ci hanno accolto a braccia aperte. Non lo scorderemo mai».

A parlare è Mefail Thaqi, titolare dell’impresa Goni srl assieme al fratello Egzon. L’esperienza dell’integrazione, lui, l’ha vissuta nel concreto. E oggi lo racconta con orgoglio, sciorinando anche un ottimo italiano. È arrivato in Italia da un Paese povero, in fuga dalla guerra e, oggi, si è costruito un’attività di successo con un presente che appare solido e un futuro, a quanto pare, incoraggiante. «Investire», è la sua parola d’ordine. Nel giro di pochi anni, Thaqi è passato dalla condizione di chi cercava un’occupazione a quella di chi la offre. Anche a lavoratori italiani.

Thaqi, raccontiamo brevemente la sua, anzi la vostra storia?

«Sì, è meglio dire la “nostra” storia perché abbraccia un’intera famiglia. La mia famiglia. Era il 1998 e scappammo dalla guerra in Kosovo. Il nostro obiettivo era di varcare il confine e trovare un posto in cui poter stare tranquilli. Oltre a me, c’erano le tre mie sorelle, mio fratello, mia madre, mia moglie. Eravamo in sette».

Perché l’Italia?

«Perché è un Paese molto bello. Raggiungemmo Venezia e trovammo, subito, ospitalità: prima in un albergo, poi in un appartamento messo a disposizione dalle Opere riunite “Buon pastore”, un’istituzione pubblica di assistenza e beneficenza. Io avevo ventuno anni. Nel gennaio 1999 iniziai a lavorare ma, verso la fine del 2000, non riuscendo a mantenere tutta la famiglia, rimasi soltanto io in Italia. Fratello, sorelle, mamma e moglie rientrarono in Kosovo».

E come è arrivato a Gorizia?

«Avevo dei parenti a Gorizia e ho trovato, in prima battuta, lavoro in una fabbrica di San Giovanni al Natisone. Poi, sono entrato nel settore edile. Dopo qualche anno di esperienza al servizio di un paio di imprese, nel 2005 ho deciso di tentare l’avventura da solo, aprendo la mia attività».

Come sono stati gli inizi?

«Agli esordi, lavoravamo per conto di aziende più grandi. Poi, piano piano, ci siamo fatti conoscere e sono arrivati i primi appalti in proprio. Siamo cresciuti, assumendo nuovo personale».

E la famiglia?

«La famiglia, poi, è rientrata qui. Ha fatto nuovamente il viaggio inverso, lasciando il Kosovo e raggiungendomi a Gorizia».

L’espansione della sua azienda è stata continua con una crescita notevole. Quanti dipendenti avete in questo momento?

«Attualmente, contiamo più di sessanta dipendenti, cui vanno aggiunti cinquanta collaboratori. Se ci limitiamo agli operai, poco più della metà sono kosovari, l’altra parte italiani. Se, invece, analizziamo la struttura che comprende capocantieri, tecnici, personale degli uffici l’80% sono locali, i restanti stranieri. Dieci anni fa, era il 2014, la Goni srl aveva 16 tra collaboratori e dipendenti. Si tratta di persone valide che amano il proprio lavoro. Di questo, c’è da essere soddisfatti».

Lei è un esempio di integrazione. Concorda?

«Ho sempre pensato che, se c’è la voglia di impegnarsi e di sacrificarsi, unitamente alla volontà di inserirsi nella società che ti accoglie, l’integrazione diventa assai più semplice. L’importante è, anche e soprattutto, aver superato l’ostacolo linguistico».

Era un grosso problema?

«Sì, quando siamo arrivati abbiamo dovuto fare i conti con una nuova lingua ma anche con una nuova cultura con norme differenti nel mondo del lavoro, e non solo. Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo imparato».

Gorizia, il prossimo anno, sarà Capitale europea della cultura. Cosa ne pensa?

«È un’opportunità eccezionale. Ma non dobbiamo pensare che tutto debba esserci assicurato dallo Stato, dalla Regione o dal Comune. Il privato deve crederci e deve investire. Ed è quello che noi stiamo cercando di fare. La Capitale la vedo come la porta di un lungo corridoio. L’importante è che, passato il 2025, non si spenga la luce su questo territorio. Sarebbe un errore imperdonabile. E poi, fatemi dire un’altra cosa».

Quale?

«Non solo a Gorizia, ma in tutta Italia, valutiamo poco ciò che abbiamo. Si dovrebbe avere la coscienza che siamo in un territorio bello e ricco di storia».

Quali progetti avete in ballo?

«Molteplici. Cito le vie in cui si trovano gli stabili oggetto di interventi. Abbiamo acquisito l’ex edificio forestale di via Ponte del Torrione, poi ci sono e ci saranno cantieri in via Mazzini, in via Duca d’Aosta, all’ex Protto, all’ex Scorianz nella zona Nord della città dove riaprirà il bar pasticceria e metteremo a disposizione anche 4 postazioni per uffici. Potremmo continuare con via Morelli e con il park che andremo a realizzare. L’elenco è lungo».

Avete investito anche a Trieste. Qual è l’intervento più ambizioso?

«Abbiamo acquisito l’immobile all’angolo di via Giotto con via Gatteri, tra viale XX Settembre e via Cesare Battisti».

Qual è il suo sogno?

«Continuare ad investire e a crescere. Mi piace anche sottolineare che stiamo lavorando anche con enti pubblici: penso, ad esempio, all’Ater e a tanti Comuni».

Quante ore lavora al giorno?

«Dalle dieci alle dodici ore. Oggi, mi occupo di gestire quest’azienda anche se, confesso, mi piacerebbe tornare a lavorare “sul campo”, nei cantieri, ma a mancare è proprio il tempo».

La vostra azienda ha anche dato aiuto all’Ugg...

«Sì. Abbiamo offerto 120 mila euro all’Ugg. Una donazione modale, ovvero finalizzata ad uno scopo ben preciso, che è quello di chiudere posizioni debitorie presso le banche. La speranza è che questo contributo aiuti la società a crescere. Altrimenti, sarebbe uno sforzo inutile».

Una curiosità: perché l’azienda si chiama “Goni”?

«È il diminutivo di mio fratello Ezgon».