Il Financial Times: «A Kiev munizioni per 800 milioni prodotte in Serbia»
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per 800 milioni prodotte in Serbia»](https://www.gedistatic.it/content/gnn/img/ilpiccolo/2024/06/24/221601735-b484ec30-a098-47ca-a175-8c9f2535cee2.jpg)
foto da Quotidiani locali
BELGRADO. Una svolta silenziosa, ma di enorme valore, che suggerisce un drastico cambiamento negli assetti geopolitici nel cuore dei Balcani. È quella che coinvolge uno dei Paese strategici nella regione, quella Serbia che coltiva una orgogliosa politica di non allineamento, un occhio alla Ue e un altro verso Mosca e Pechino e che si è rifiutata di imporre sanzioni contro l’amica Russia. Ma, dietro le quinte, Belgrado avrebbe inviato negli ultimi due anni, non apertamente ma con complesse triangolazioni, munizioni agli ucraini per ben 800 milioni di euro, una mossa che rischia di incrinare i rapporti con il Cremlino.
È il quadro, già emerso nei mesi scorsi e seccamente smentito dalle autorità serbe, che è stato rispolverato ora da una fonte autorevolissima, il Financial Times (Ft), che ha sostenuto che Belgrado abbia «discretamente aumentato le vendite di munizioni» prodotte dall’industria della difesa in Serbia, uno dei comparti più floridi nel Paese, dirette «verso l’Occidente». Ma i proiettili “made in Serbia” in realtà sarebbero poi stati re-indirizzati nella disponibilità dell’esercito di Kiev, il tutto con silenzioso beneplacito delle autorità nazionali. «Stime condivise con il Financial Times indicano che l’export di munizioni dalla Serbia all’Ucraina via terze parti abbia toccato gli 800 milioni, una somma che il presidente serbo Vučić ha definito in generale accurata, a partire dal 2022», l’anno dell’invasione russa, si legge in un articolo del Ft destinato a far discutere a lungo. Discutere perché, come conferma delle triangolazioni, il giornale cita proprio Vučić. Il business delle armi «è parte della nostra rinascita economica ed è importante per noi, sì, esportiamo munizioni», ha affermato il leader serbo, citato dal Ft. Vučić che ha poi specificato che «non possiamo esportare in Ucraina o in Russia, ma abbiamo molti contratti con americani, spagnoli, cechi e altri, cosa fanno» con i prodotti serbi «è affar loro». «Anche se sapessi» dove finiscono le munizioni, leggi in mano ucraina, «non è il mio lavoro», ha chiosato, aggiungendo di «avere amici sia Kiev sia a Mosca, sono nostri fratelli slavi».
Ma come spiegare il presunto voltafaccia serbo alla Russia? Con un instancabile lavoro ai fianchi di Vučić da parte di Ue e Usa, che «da anni si sono impegnate per farlo allontanare da Putin», ha svelato una feluca occidentale. Un ruolo-chiave lo avrebbe poi giocato l’ambasciatore Usa a Belgrado, Christopher Hill, da molti considerato molto vicino al leader serbo e troppo morbido con la Serbia, anche nei momenti più critici della crisi con il Kosovo o durante le proteste dell’opposizione. E Hill, ha svelato la stessa fonte al Ft, «ha avuto successo con Vučić, il quale non ha più incontrato o sentito Putin da anni. E poi c’è la questione delle spedizioni di armi finite in Ucraina», la ciliegina sulla torta. Torta che, con alta probabilità, risulterà indigesta a Putin e a Mosca . —