Faravelli, il socialista eretico di Broni che ha attraversato le tragedie del ’900
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foto da Quotidiani locali
«È impossibile descrivere questo allievo di Filippo Turati come un politico di potere – scrive Fabio Florindi nell’introduzione alla biografia di Giuseppe Faravelli, in uscita nel 50esimo della morte, avvenuta il 15 giugno 1974 in una clinica milanese – Non lo ha mai cercato, la militanza politica per lui è sempre stata solo missione e passione. Fa impressione oggi rileggere la coerenza delle sue idee. Praticamente tutti i grandi del socialismo a lui coevi, nell’arco della loro vita, ebbero ripensamenti o aggiustamenti tattici, in particolare nel rapporto con i comunisti. Non Faravelli, i cui giudizi e le cui azioni sono di una linearità impressionante, se si considera la sua pluridecennale militanza». Florindi, giornalista dell’agenzia Agi, laurea in Filosofia ma da sempre cultore della storia, ripercorre con “L’eretico. Giuseppe Faravelli nella storia del socialismo italiano” (Arcadia edizioni), la vicenda di un personaggio influente ma relativamente poco conosciuto della sinistra non comunista, dai primi decenni del Novecento fino alla metà dei Settanta. Bronese di nascita, rimasto sempre affettivamente legato al suo Oltrepo, Faravelli ha attraversato le tragedie e i grandi snodi del secolo scorso.
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E’ stato un marxista, ma non rivoluzionario, riformista, sempre fedele alle sue convinzioni, anche a costo di ritrovarsi spesso e volentieri su posizioni di minoranza. Nella prefazione al libro, Claudio Martelli, ex vicesegretario del Psi ed ex ministro della Giustizia, traccia un deciso parallelismo tra l’autonomismo di Faravelli e quello di Bettino Craxi, inteso come smarcamento e spirito concorrenziale sia verso la Dc che verso il Pci.
Partiamo da Broni, dalle sue origini.
«Faravelli è sempre rimasto legato alla sua terra, anche se ne è stato a lungo lontano – spiega Florindi – L’Oltrepo di inizio ’900 era una zona di fortissimo radicamento socialista, le sezioni locali avevano più iscritti di quelle di Pavia, Voghera, malgrado la sproporzione nel numero degli abitanti».
Direttore della “Plebe”, lo storico giornale socialista pavese.
«Lo diventa con il Psu, il partito unitario di Turati con cui si schiera da subito».
Un passo indietro. Faravelli nella Grande guerra.
«Soldato zappatore, cioè sostanzialmente addetto a scavare trincee sul fronte del Carso. Durante la rotta di Caporetto resta ferito, in circostanze curiose, quasi comiche».
Vale a dire?
«Gli affidano il compito ingrato di convincere i soldati sbandati a rientrare nelle linee italiane. Per arringarli, sale sul tetto di un fienile ma una botola si spezza sotto ilsuo peso, lui precipita di sotto e si rompe una gamba. Lo ricoverano a Pordenone e poi a Pavia, al Ghislieri, trasformato provvisoriamente in ospedale militare».
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Gli studi?
«Si diploma al liceo Beccaria di Milano. All’università si iscrive a Lettere, poi a Giurisprudenza. Si laurea, ma non farà mai l’avvocato».
Frequenta molti leader del riformismo: Turati, lo stesso Matteotti. Di alcuni, come Modigliani, diventa amico fraterno.
«Con Modigliani e la moglie Vera lavora alle trasmissione in lingua italiana di Radio Parigi, esule in Francia per sottrarsi alle persecuzioni del fascismo. Con i coniugi Modigliani affronta anche la fuga verso la Francia di Vichy dopo l’arrivo dei tedeschi».
Se la vede davvero brutta.
«Per tre volte le autorità di Vichy vorrebbero consegnarlo alla polizia fascista, e Angelo Tasca, che l’aveva chiamato a Radio Parigi, intercede sempre per lui. Alla quarta, c’è l’estradizione via Mentone. Ha fatto propaganda contro il regime, rischia la pena capitale.Di nuovo si muove Tasca e il tribunale speciale lo condanna “solo”a 30 anni. Carcere a Portolongone, poi Parma da da dove scappa e ripara in Svizzera».
Il dopoguerra.
«Il primo comizio lo tiene nellla sua Broni nel 1945. A Palazzo Barberini sta con Saragat, contro il patto d’unità d’azione col Pci. E’ lui che cerca alla base i consensi per la scissione socialdemocratica. Ma poi sarà critico verso ilministerialismo del partito e l’eccessivo schiacciamento sulla Dc»
La stagione di “Critica sociale”.
«La fa riaprire nel ’46 bussando a tutte le porte per i finanziamenti. La dirige dal ’56 dopo lamorte di Mondolfo».
Il ritorno nel Psi.
«Accade nel 1963, dopo l’uscita dell’ala “carrista” filo Pci che fonderà il Psiup. Auspica la riunificazione pur criticandola, n’operazione verticistica senza coinvolgere la base. Resta nel Psi fino alla morte».