Lo chiamavano El Niño (poi arrivò la Niña)

L’alternarsi dei due fenomeni meteo globali dovrebbe portare a un calo delle temperature già questa estate e, si spera, a un tempo più stabile.

Arrivederci El Niño. Le maggiori agenzie meteo mondiali hanno preso atto della fine di questo fenomeno climatico periodico che influenza significativamente il tempo meteorologico. E ora che non c’è più, la sua assenza darà un contributo al calo delle temperature e a un tempo più stabile.

Era la primavera 2023 le acque superficiali dell’Oceano Pacifico Centrale e Orientale cominciarono a riscaldarsi fino a raggiungere un incremento rispetto alla media di 4-5 gradi nei mesi di dicembre e di gennaio 2024: il segno che dopo sette anni era riapparso El Niño, evento complesso e non del tutto compreso dagli scienziati, frutto di dinamiche che coinvolgono meccanismi di interazione tra oceano e atmosfera.

Per ragioni non chiare, a volte gli alisei si indeboliscono d’intensità o, addirittura, invertono la loro direzione dando origine a El Niño. Questo nome gli è stato attribuito ai primi del ‘900 dai pescatori, che notarono il surriscaldamento delle acque e condizioni più sfavorevoli di pesca. Siccome appariva intorno al periodo natalizio, non c’era nome migliore di El Niño, letteralmente «il bambino», nome riferito a Gesù.

Dal 1900 si sono verificati una trentina di episodi, gli ultimi nel 1997-98, nel 2014-16 e nel 2023-24, con un periodo statisticamente variabile tra i tre e i sette anni, frequenza ripetuta per migliaia di anni.

El Niño si alterna sempre con La Niña, il fenomeno opposto, quello per cui le temperature oceaniche sono più fredde della media. Al momento c’è una probabilità del 65 per cento che La Niña arrivi tra luglio e settembre 2024 e dell’85 per cento che arrivi tra novembre 2024 e gennaio 2025.

L’instaurarsi di El Niño amplifica il riscaldamento globale, perché aggiunge calore all’atmosfera e agli oceani, e induce cambiamenti nella pressione atmosferica. A sua volta questi ultimi alterano i movimenti convettivi (le correnti ascensionali di aria più calda) e l’andamento delle precipitazioni.

Infatti, in tutto il mondo, nell’ultimo anno abbiamo visto non poche stranezze. In Italia, gli impatti del «bambino» nel 2023 e 2024 hanno favorito inverni più caldi della media, minori gelate e ondate di freddo, un andamento alterato delle piogge con un mix di condizioni più umide in alcune regioni e più secche in altre.

In Italia settentrionale è piovuto di più, a volte con inondazioni, mentre il Meridione ha avuto condizioni più secche e siccità esacerbata. L’inverno mite e le temperature anomale a inizio primavera hanno influenzato la produzione italiana di vino e olio d’oliva, causando fioriture anticipate e cambiamenti nei tempi di raccolta.

Mentre alcune regioni hanno beneficiato di una stagione di crescita più lunga, altre hanno dovuto affrontare sfide legate alla disponibilità di acqua. Al Nord e al Centro, l’incremento delle precipitazioni ha sostenuto la produzione di grano e cereali, ma è salito anche il rischio di malattie fungine a causa della maggiore umidità.

La siccità nel Sud Italia ha aumentato la domanda di irrigazione, mettendo a dura prova le risorse idriche ed evidenziando la necessità di pratiche efficienti di gestione dell’acqua in agricoltura. Tutto ciò ha avuto conseguenze sui prezzi del vino e dell’olio d’oliva e su vari prodotti agricoli.

D’altra parte, più neve al Nord ha favorito il turismo invernale. E grazie alle temperature più miti è diminuita la domanda di riscaldamento, abbassando il consumo di energia e i costi per famiglie e imprese. Sempre nell’Italia settentrionale, le tante precipitazioni hanno alterato i livelli di fiumi e laghi, provocando inondazioni; mentre meno piogge al Sud hanno messo a dura prova gli ecosistemi dipendenti dal flusso d’acqua regolare.

Spiega Giulio Betti, meteorologo e climatologo presso il Consorzio LaMMA (Laboratorio di Monitoraggio e Modellistica Ambientale) e l’Istituto di Biometeorologia del Cnr di Firenze: «La prossima estate sarà condizionata non più da El Niño o da La Niña, ma dall’unica forza rimasta, il riscaldamento climatico globale. Le temperature sono adesso ben superiori alla media quasi su tutto l’emisfero Nord, basti pensare al Nord-Africa o al Medio Oriente, ma anche all’Oceano Atlantico».

E in Italia? «Nel nostro Paese grandi quantità di calore si trasformeranno in luglio e agosto in frequenti ondate di caldo» risponde Betti. «A un giugno tutto sommato tollerabile al Nord, ma molto più caldo della media al Sud, seguiranno due mesi con temperature superiori al periodo su tutta Italia, soprattutto al Centro e al Sud. A suggerirlo sono alcuni indici che segnalano il rinforzo degli anticicloni. E queste sono tutte tendenze sulle quali non c’è più l’impronta di El Niño e La Niña».

Nei mesi successivi ci saranno ulteriori cambiamenti: il prossimo inverno sarà forse più freddo, con una maggiore probabilità di gelo e di neve nelle regioni settentrionali e centrali. Sulle prossime estati, inclusa questa appena iniziata, inciderà sempre il cambiamento climatico, ma senza le ondate roventi e prolungate portate da El Niño. Le precipitazioni potrebbero tornare nella norma - ed essere assai più stabili - nel Nord Italia, con minori periodi secchi e minori piogge violente come quelle sperimentate durante El Niño (ma se dovesse sorgere La Niña, il Sud potrebbe ritrovarsi, di nuovo, con il pericolo di siccità).

Temperature e precipitazioni più «normali» andranno a beneficio di vigneti e oliveti, portando raccolti più stabili. Il rischio di fioritura anticipata e di danni dovuti al gelo sarà così ridotto. Con piogge più prevedibili, la domanda di irrigazione in agricoltura si stabilizzerà, allentando la pressione sulle risorse idriche (e ciò è fondamentale per l’Italia meridionale).

Se El Niño ogni sette anni scompare, il riscaldamento globale invece non ci abbandona. Ed è su questo fenomeno che dobbiamo concentrare i nostri sforzi.