Daniele Ciprì a ShorTS: «Il corto è cinema puro ed è l’unico modo di essere indipendenti»
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Il regista al Giardino pubblico con il suo nuovo “Enif Al”. Al Miela premio ai fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo
TRIESTE. ShorTS – International Film Festival entra nel vivo di un weekend ricco di ospiti importanti: alle 19 al Teatro Miela i fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, i registi di “Favolacce”, “America Latina” e della prossima serie Sky “Dostoevskij” in uscita anche al cinema l’11 luglio, incontreranno il pubblico e riceveranno il Premio Cinema del Presente, mentre in serata al Giardino Pubblico inizia la sezione “ShorTS Express” dedicata ai cortometraggi brevissimi. Tra le opere internazionali presentate ci saranno anche “El Naciente/Emerging” del pluripremiato regista spagnolo David Pantaleón, storia humor di un ricercatore coreano ossessionato dall'idea di fare una grande scoperta, e “Immortels” di Monica Rattazzi, sceneggiatrice franco-marocchina-italiana al suo debutto alla regia.
Prima dei corti, però, dalle 21.15 al Giardino Pubblico arriva Daniele Ciprì, uno dei più importanti direttori della fotografia italiani ma anche regista che ha segnato la storia del cinema, con film come “La buca” e “È stato il figlio”, e della tv, con trasmissioni cult come “Cinico Tv” realizzate in coppia con Franco Maresco. A ShorTS Ciprì presenterà il suo nuovo cortometraggio “Enif Al” che, nel bianco e nero diventato quasi la sua firma d’autore, racconta di due clown che si preparano per lo spettacolo della vita ma, a fine esibizione, si accorgono di avere un solo spettatore, pronto a portarli con sé.
«Il film nasce da un progetto con la scuola di cinema Piano Focale di Palermo: realizzo dei corti con gli studenti su soggetti miei», anticipa Ciprì. «È un percorso sull’immaginario: tutti i piccoli film, come il precedente “La fornace” presentato alle Giornate degli Autori a Venezia, parlano di storie impossibili ma che stanno nel nostro contemporaneo».
Ciprì inizierà presto le riprese del suo prossimo lungometraggio, “Infinito padre”, «una bella riflessione su una famiglia, padre e figlio, che sto preparando sempre nel mio mondo: girerò in Sicilia con la produzione Groenlandia di Matteo Rovere». Il cortometraggio però, dice, «è cinema puro, la forma più legittima: il cinema è nato corto e muto. Si è poco fastidiosi, si spende meno e le cose brevi rimangono di più nel tempo. Il corto è difficile ma anche l’unico modo per essere davvero indipendenti con le proprie idee. Oggi spesso si fanno i film per come si pensa li voglia il pubblico, non vedo più un cinema d’autore indipendente. Per questo agli studenti insegno che il modo migliore di fare arte è stare soli e credere nella propria idea».
Del resto l’indipendenza e la sperimentazione sono sempre state la cifra di Ciprì anche sul piccolo schermo: tra la fine degli anni ’80 e gli anni ’90, con Maresco, ha inventato un nuovo modo di fare televisione tra “Blob”, “Fuori orario” e “Cinico Tv”. «La nostra riflessione veniva dalla rabbia e dall’isolamento: nella nostra città, Palermo, in quel periodo c’erano le bombe. Volevamo trovare una formula per raccontare il nostro territorio al di fuori dell’immaginario cinematografico di quegli anni: abbiamo scelto il bianco e nero come non identificazione del luogo e del tempo, e una sola inquadratura. Siamo stati contro corrente ma ce l’abbiamo fatta: con Franco ho trascorso il più bel periodo della mia vita, abbiamo fatto delle guerre insieme e oggi possiamo dire di aver vinto, ma prima eravamo isolati da tutti».
Il bianco e nero e la dimensione del grottesco gli rimangono congeniali: «Vengono dal cinema classico americano: nei film di Lubitsch, Wilder, Welles, Ford c’era sempre una vena grottesca nei personaggi. Mi piace prendere il reale e portarlo nel mio immaginario: anche in “Cinico Tv” i personaggi erano talmente amplificati che sembravano cartoni animati». Da direttore della fotografia invece Ciprì ha lavorato con decine di autori come Marco Bellocchio, Ascanio Celestini, Roberta Torre in progetti anche molto differenti: «Per trovare la chiave della luce di un film preferisco conoscere il regista, farmi raccontare da lui la storia, diventare complice del suo immaginario: così mi viene naturale, anche cimentandomi in film molto variegati, di genere, d’amore, musicali».