Marcio Amoroso ne fa 50: la festa di compleanno in Friuli

foto da Quotidiani locali

Cinquant’anni, anzi mezzo secondo che fa più effetto. Eppure a guardarlo Marcio Amoroso sembra ancora quel ragazzo che arrivato a Udine nell’estate del 1996, faceva ammattire i difensori avversari quando partita in velocità senza che nessuno gli riuscisse a stare dietro.

Eppure è così, Marcio compie 50 nel week end arriverà in Friuli per fare festa agli amici di Orsaria e non solo. L’appuntamento è per lunedì a Premariacco in via Ponte Romano.

BILANCIO

«È un traguardo emozionante – dice Amoroso – anche perché ho avuto la fortuna di vivere la vita che volevo, soddisfacendo le mie passioni e i miei interessi.

Quello che di saper giocare a calcio è un dono regalatomi da Dio che poi ha saputo coltivare con il lavoro».

Gli hanno raccontato che quando nonno Josè Manuel lo vide calciare il pallone per la prima volta a tre anni, gli predisse un futuro da calciatore. «Lui morì pochi mesi dopo, chissà cosa avrebbe detto vedendomi indossare la maglia della Seleçao».

DOPPIO IMPEGNO

Marcio è cresciuto a Brasilia perché il papà lavorava nel palazzo del Governo. La sua prima squadra a otto anni fu quella dell’Assefe (Associazione Senatori Federali): «Disputavamo i campionati contro le squadre giovanili dei club professionistici, facevo due-tre gol a partita». Quella squadra cominciò a stargli stretta.

A quindici anni finì al Guaranì club nel quale sono cresciuti Careca, Evair, Neto, Amarl Julio Cesar (il difensore). Prima di andare al Guaranì giocavo sia a calcio che a calcetto: in Brasile se non sei bravo a calcio a 5 non vieni nemmeno considerato per quello a undici».

Libero nel campo di dimensioni ridotte, attaccante in quello più grande. Quello del ruolo è un capitolo che merita di essere approfondito anche perché si lega all’esperienza poi vissuta a Udine.

SOL LEVANTE

Il suo è stato un percorso professionale particolare. Trasferirsi ad appena 16 anni in Giappone è stata una scelta rischiosa. «Mi sono allontanato dal calcio che conta, è vero – spiega –, ma avevo nella mia testa il percorso da fare».

A volerlo al Verdi fu Josè Macia, ex compagno di Pelè nel Santos: «Quando allenava il Guaranì, siccome aveva molti infortunati, chiese di avere tre ragazzi delle giovanili. Uno fui io, segnai due gol ed evidentemente tre anni dopo si ricordò di me. Andare in Giappone mi ha permesso di esprimermi come meglio volevo, lontano da tatticismi».

Quelli che avrebbe ritrovato sia al Guaranì che soprattutto in Europa: «L’allenatore Carlos Alberto mi faceva giocare di punta, il trequartista era Djalmina. Quando venne squalificati andai a chiedere al tecnico se nella gara successiva avrebbe potuto farmi giocare al suo posto. La risposta fu: “Ragazzo, domani giochi in panchina seduto vicino a me”». Tre partite dopo, con Djalmina ancora out Marcio fu impiegato da trequartista, fece doppietta e nel giro di due settimane Djalmina fu venduto.

IL 1994, LA STAGIONE D’ORO

Il 1994 fu una stagione stratosferica per Amoroso. Vinse il Pallone d’oro brasiliano, il titolo di capocannoniere. Era tutto perfetto fino all’infortunio al ginocchio.

«Sono stato fuori otto-nove mesi, e in molti dicevano che non sarei stato quello di prima».

Al rientro finì in prestito al Flamengo dove vinse il campionato. «Per me fu la realizzazione di un sogno. Mio padre mi aveva trasmesso la fede flamenghista e quando da Brasilia tornavamo a Rio, non vedevo l’ora di farmi portare al Maracanà Flamego-Vasco De Gama. Io non guardavo la partita ma solo Zico e Roberto Dinamite, i miei due idoli».

UDINE E IL FRIULI

Proprio uno dei suoi idoli, Zico, gli avrebbe fatto da padrino per il suo arrivo in Friuli. «Fu Juan Figer, procuratore uruguaiano, a dire a Gino Pozzo di venire in Brasile a vedere un giocatore particolare. Quando seppi dell’interessamento dell’Udinese, rimasi lusingato perché sapevo che era la squadra nella quale aveva giocato Zico.

Gino Pozzo lo vidi la prima volta solo per la firma del contratto in uno studio di San Paolo».

L’impatto non fu semplice. Preparazione fisica pesante («Io avevo nelle gambe tre mesi di campionato dopo il rientro dall’infortunio»), e il dilemma del ruolo. «Come al Guaranì io avrei voluto fare il trequartista, Zac, invece, mi vedeva solo punta. Alla fine ha avuto ragione lui».

RICORDI

Fa specie pensare che ha scelto il Friuli per festeggiare i suoi 50 anni. «Il Brasile avrei dovuto invitare mille persone, qui è tutto più raccolto, semplice. Mi porterò da San Paolo gli amici più stretti, gli farò conoscere il Friuli, Venezia e altri posti. Mi fermerò un mesetto».

Con lui anche la moglie Rachele: «Ci siamo sposati pochi giorni prima di venire in Italia, lei aveva appena 17 anni». Galeotta fu una foto: «Andai a trovare una nostra amica comune appena rientrato dal Giappone e la vidi.

“Chi è questa? Me la devi presentare”. E così fu». Rachele confessò poi al marito che era lei ad aprire e leggere le lettere che Marcio mandava a questa sua amica quando giocava in Brasile. «Niente di compromettente», sorride.

IMPRENDITORE

Marcio e Rachele hanno tre figli. Giovanni, nato a Udine, Matteo e Isabella. Il primo gestisce un centro sportivo che Marcio ha costruito a Paulinha, 10 chilometri da Campinas, dove si gioca a foot volley e a beach tennis.

È uno dei due soci della Toff, ditta di cosmetici, ha una percentuale nella Younnect, azienda di accessori per telefonia e gestisce la procura di 18 ragazzi, tra cui il figlio Matteo, attraverso l’Aso7Sport Manager.

IL FUTURO

«Cosa posso chiedere al domani? Vorrei continuare ad avere una vita di qualità. A cinquant’anni ho realizzato tutti i miei sogni. Ho una bella famiglia e la fortuna di avere ancora entrambi i genitori e tanti amci veri, anche in Friuli». Ha un solo grande rimpianto: «Quello di non aver disputato un Mondiale. Il “mio” era quello del 2002 che tra l’altro il Brasile vinse. In quella stagione giocavo al Borussia Dortmund, conquistai il titolo di capocannoniere.

Un anno prima ero stato titolare nella Seleçao, avevamo vinto la Coppa America, il ct era Luxemburgo che venne sostituito. Arrivò Scolari e mi lasciò a casa». Una macchia, vero, che però sembra piccola piccola dentro la vita di questo splendido cinquantenne.

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