Trieste, il carcere del Coroneo sovraffollato: detenuti tra cimici e afa e c’è chi dorme a terra

In cella 257 persone: la capienza è 150. In due in 8 metri quadrati con wc a vista. La garante dei detenuti Burla: «Situazione critica, così calpestiamo la dignità»

TRIESTE. Le persone detenute al carcere del Coroneo si presentano ai colloqui con parenti e legali mostrando i morsi delle cimici sulle braccia. Alcuni di loro si sono visti costretti a dormire su materassi buttati a terra, nelle celle sovraffollate, dove nelle giornate afose non si respira. Senza contare che nelle stanze destinate all’isolamento, con servizi igienici a vista, scontano la pena in due.

La situazione della casa circondariale Ernesto Mari è critica. La direzione e il personale si fanno in quattro per alleviare le difficoltà. Ma quando le presenze superano di oltre 100 unità la capienza, solo un miracolo potrebbe cambiare qualcosa.

I NUMERI

Per comprendere le condizioni, basta scorrere i dati. La capienza regolare del Coroneo è fissata a 150. Invece ora ha toccato quota 257, di cui 25 donne. Gli stranieri sono 164. Negli anni passati si denunciava una situazione limite già quando i detenuti erano 220. I numeri di oggi non si erano mai visti e costringono a condizioni che poco hanno a che vedere con la funzione rieducativa e di espiazione della pena. E che anche in questi giorni, per mancanza di posti letto, hanno costretto il personale a sistemare materassi a terra.

Gli ultimi entrati in carcere dormono così. «Il carcere di Trieste non è in grado di accogliere tutte queste persone. Abbiamo calpestato la dignità umana», commenta la garante regionale dei diritti dei detenuti Elisabetta Burla, che testimonia «di celle da 8 metri quadrati, con wc a vista, dove sono costrette a vivere due persone».

IL CALDO

Sebbene il regime di “celle aperte” adottato al Coroneo consenta ai detenuti di fruire delle parti comuni durante il giorno, la sera le porte delle stanze vengono chiuse. E gli spazi dove passare le ore notturne sono angusti. Nei corridoi un sistema di areazione rinfresca un po’ l’aria. Nelle celle invece c’è in dotazione solo un ventilatore, che deve soddisfare le esigenze di tutti.

«Riconosco che la direzione e la Polizia penitenziaria stiano facendo ogni sforzo possibile per gestire una situazione così critica – constata Burla – anche concedendo telefonate giornaliere». Una maniera di «alleviare le sofferenze delle persone – sostiene la garante – che così riescono a mantenere un contatto con la famiglia, sentendosi ancora parte della società».

POLIZIA PENITENZIARIA

Gli uomini e le donne della Polizia penitenziaria operativi alla Ernesto Mari dovrebbero essere 156 rispetto alla capienza regolare di 150 detenuti. Invece sono 125, a gestire una struttura ben più affollata.

Giovanni Altomare segretario regionale del sindacato Sappe, sottolinea come «le condizioni nelle quali sono costretti i vivere i detenuti, non fanno che accrescere le tensioni, con risse e liti. A farne le spese è anche il personale della Polizia penitenziaria, stremato». Altomare evidenzia la presenza anche di «detenuti con problemi psichiatrici, con situazioni molto complesse, che necessitano di attenzioni particolari, mentre la loro corretta collocazione sarebbero le Rems».

GLI AVVOCATI

La scorsa settimana l’Unione delle Camere penali ha promosso una maratona oratoria per chiedere soluzioni all’emergenza nelle carceri italiane, dove crescono il numero dei suicidi e le situazioni di degrado. All’iniziativa ha aderito anche il direttivo della Camera penale di Trieste, con il referente del carcere, l’avvocato Enrico Miscia. «Il nostro obbiettivo è quello di uscire dalla situazione emergenziale, ormai cronica – spiega Sabina Della Putta, presidente della Camera penale di Trieste – per una questione di umanità e anche considerando come la funzione rieducativa e di accompagnamento al reinserimento nella società del carcere così venga meno».

L’avvocato testimonia di «detenuti che si presentano ai colloqui con le braccia devastate dai morsi delle cimici dei letti, e sappiano che le disinfestazioni in una struttura sovraffollata sono imprese quasi impossibili, quindi anche in questo caso il problema diventa cronico». Senza contare che il caldo favorisce la proliferazione di questi insetti. «Condizioni simili – aggiunge Della Putta – incattiviscono le persone, fanno perdere la fiducia e portano a un maggior rischio di recidiva: servono strumenti normativi».—