Ho visto le lettere di Luigi Giacomo Passeri dal carcere, implora aiuto: Tajani deve dirci come sta
Luigi Giacomo Passeri, 31 anni, è stato arrestato un anno fa mentre si trovava in vacanza in Egitto, per il possesso di una piccola dose di marijuana per uso personale. Questo è ciò che sa la famiglia, informata qualche giorno dopo dall’ambasciata italiana a El Cairo. La magistratura locale lo accusa di detenzione e traffico di stupefacenti. Si trova nel Centro di correzione e riabilitazione di Badr, 65 km a est del Cairo, uno dei più duri d’Egitto aperto nel 2022 da Al-Sisi.
Dal 28 agosto 2023 la famiglia non riesce più ad avere contatti diretti con lui. Nessun incontro, zero videochiamate, zero telefonate. Intanto sono saltati interrogatori, sono state rinviate udienze, mancano interpreti e i testimoni che hanno parlato contro di lui non si presentano. È il modus operandi della giustizia egiziana: rinviare di udienza in udienza prorogando la custodia cautelare di tre o quattro mesi per volta.
I fratelli di Luigi Giacomo Passeri mi hanno mostrato le lettere ricevute, sembra emergere che in carcere Luigi abbia subito torture e sia stato abbandonato senza cure dopo un intervento di rimozione dell’appendice. Le poche lettere che il giovane è riuscito a mandare ai suoi cari mostrano un peggioramento delle sue condizioni psicologiche e il rischio di autolesionismo. Nelle lettere Luigi implora aiuto, lamenta la mancanza di beni di prima necessità, testimonia stati psicofisici di forte disagio fino ad alludere a possibili atti anticonservativi.
Le parole sono molto forti. I toni sempre più crudi, anche solo da descrivere: perdita di capelli, manette troppo strette, “poliziotti in tribunale che assumono droga e portano coltelli”, assenza di ciabatte, coperte, calze, la prigione descritta come un inferno, immobilismo dell’ambasciata e dell’avvocato, nessuna informazione, perdita delle forze, della speranza, della lucidità, della voglia di vivere, ore e ore passate in una stanza in isolamento senza acqua, il trasferimento in una gabbia con “12 detenuti accusati di omicidio e tentato omicidio”.
Non c’è bisogno di sapere di che cosa Luigi Giacomo Passeri sia accusato. A noi basta sapere che, in base al diritto internazionale (risoluzione Onu del 17 dicembre 2015 sul trattamento dei detenuti, le cosiddette “Regole Mandela”), tutti i prigionieri devono essere trattati rispettando la loro dignità, senza mettere in atto trattamenti inumani o degradanti; che a tutti deve essere garantito l’accesso a informazioni scritte sui loro diritti e sull’accesso alla consulenza legale; che tutti i detenuti hanno diritto a comunicare con la loro famiglia; che diverse categorie di detenuti devono essere tenute separate tenendo conto di genere, età, precedenti penali, la ragione giuridica per la loro detenzione; che a ciascuno devono essere adeguatamente forniti acqua, cibo, indumenti e biancheria pulita; che ogni carcere deve garantire l’accesso tempestivo a cure mediche in caso di urgenza. Tutte condizioni che il Centro di correzione e riabilitazione di Badr sta negandogli.
Per lui, per la famiglia, che in dieci mesi non è riuscita a parlargli neanche una volta, ci siamo mobilitati.
Il punto non è solo la presunzione di innocenza, il punto è che anche un cittadino colpevole di reati anche più gravi merita un giusto processo. Undici mesi senza una chiamata a casa, senza un’udienza che formalizza un’accusa non ha l’aria di tutto questo. Lo abbiamo domandato con un’interrogazione e una richiesta di informativa urgente al ministro Tajani: l’Ambasciata italiana in Egitto deve garantire assistenza e supporto e muoversi perché si svolga un equo e giusto processo in tempi celeri.
Il governo deve mobilitarsi, perché Luigi e la sua famiglia non possono essere lasciati soli. Abbiamo avuto da poco delle rassicurazioni sul fatto che la Farnesina già nelle prossime ore proverà a chiedere l’ingresso in carcere per vederlo. Come i suoi cari, vogliamo sapere se Luigi sia in salute, non è accettabile che un ragazzo sia in carcere da undici mesi senza conoscere il suo destino e l’accusa che gli viene mossa.
Illustrazione di Francesco Lopomo ©
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