Vitrani, il ritorno alla Triestina: «Spero di essere profeta in patria»
foto da Quotidiani locali
TRIESTE Mancava da Trieste da oltre vent’anni. Adesso il preparatore dei portieri Alessandro Vitrani, 53 anni il prossimo settembre, dopo aver girato l’Italia e aver allenato per tante stagioni in serie A e serie B, è tornato a casa.
È lui infatti a curare i portieri nello staff di Michele Santoni, sperando dopo tanto girovagare di essere profeta in patria con la Triestina, dove del resto aveva iniziato ad allenare.
Vitrani, com’è nato questo ritorno a Trieste?
«È stata un po’ una combinazione: ho sentito Fabiano Speggiorin (responsabile scouting per il settore giovanile alabardato, ndr) che mi ha chiesto se ero disponibile a fare una chiacchierata e a raccontarmi il progetto. Poi il ds Morris Donati mi ha chiamato esprimendosi per un mio gradito ritorno a Trieste e ci siamo messi d’accordo abbastanza velocemente».
Dopo tanti successi in giro per l’Italia, spera di fare finalmente il profeta in patria?
«È sempre difficile farlo, ma il pensiero è quello: poter finalmente farmi valere nella mia città, sperando di costruire qualcosa di bello».
Lei ha fatto il portiere per San Giovanni, Zaule e Ponziana: poi è nata subito la vocazione per fare l’allenatore?
«Mi fermai per un problema fisico, andai anche a Foggia ma causa un altro infortunio ho smesso a 26 anni. No, non avevo subito l’idea di fare l’allenatore. Sono andato all’università a studiare informatica, mentre scienze motorie le avrei fatte solo a 34 anni. Intanto mi ero messo in testa quest’idea solo come divertimento. Poi la cosa è diventata sempre più grande, ma tutto è partito lavorando nel settore giovanile dell’Unione ai tempi di Berti».
E poi come ha spiccato il volo?
«Via da Trieste sono andato a Conegliano in D e ho conosciuto Michele Serena e proprio Speggiorin. Poi Serena fu chiamato da Andrea Seno per andare nel Venezia, sono andato con lui e abbiamo iniziato a vincere. Ma Speggiorin non è l’unico qui in Triestina che conoscevo già».
Chi c’è ancora?
«Salvatore Giunta (capo scouting internazionale della società alabardata, ndr): faceva il secondo a Frosinone e anche lui ha parlato bene di me. Inoltre, i casi della vita, quando ho incontrato Alex Menta mi ha detto che abbiamo un amico in comune: è il portiere Joronen che ha fatto le fortuna di Brescia e Venezia».
Per tanto tempo ha lavorato con Corini.
«L’ho conosciuto a Frosinone, per undici anni sono stato con lui seguendolo anche con Chievo, Palermo, Novara e Brescia, dove sono stato sei anni. In tutto comunque ho fatto 6 anni di serie A, 8 di serie B e altri 6 di serie C».
E Santoni?
«Mi sono informato tramite altri allenatori con cui aveva collaborato in Italia e me ne hanno parlato tutti bene. Poi l’ho conosciuto e mi ha fatto subito una bellissima impressione, ha buone idee».
Finora qui però le è mancato il materiale per lavorare, c’era solo Diakite. A proposito, che ne pensa?
«Vediamo chi arriverà. Diakite è un bel prospetto per il futuro: nonostante dicano che pecchi in altezza, lui riesce a sopperire grazie alle sue prestazioni fisiche. È un ragazzo del 2004 che ha delle lacune ma che avrà tutto il tempo per migliorare».
Bastano i tempi di un ritiro per plasmare un portiere?
«Assolutamente no. Poi se hai fortuna può bastare meno ma da quello che ho visto in questi 22 anni serve un pochino per costruire. L’importante è avere pazienza e idee chiare».
Per il gioco di Santoni è fondamentale un portiere che sappia giocare bene con i piedi: nei suoi allenamenti come cura questa parte?
«Per me il portiere deve saper innanzitutto parare, questa è la prima cosa, poi ovviamente oggi come oggi non è possibile non sapere giocare con i piedi. Per i portieri quindi, oltre che con me, ci saranno diverse esercitazioni anche con la squadra per affinare le loro qualità tecniche dei piedi. Detto questo, la prima cosa per me è che la palla non entri».
Alla luce di questo, è cambiato il ruolo di preparatore dei portieri negli anni?
«Sì, tanto che ora in federazione lo chiamano allenatore dei portieri, per il semplice fatto che un portiere deve essere un giocatore completo: prima era sufficiente la difesa della porta, ora è molto importante anche la difesa dello spazio, in alcune squadre anche di più. Al Manchester City il brasiliano Ederson sembra un trequartista. Quindi dando tempo al tempo si possono fare buone cose: se fa i movimenti corretti, un portiere diventa un giocatore aggiunto». —
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