Dall’addio a Rosenthal agli insulti a Maignan: non è la prima volta che lo sport diventa un caso politico
Antisemitismo. Più di qualcuno, tra gli esponenti politici che hanno commentato il «no» del Comune di Udine alla concessione del patrocinio per la gara di Nations League tra Italia e Israele, ha evocato i sentimenti di pregiudizio contro gli ebrei che possono emergere «sia pure involontariamente», come sottolineato dal sottosegretario Sandra Savino. Atteggiamenti che, se messi in relazione con il Friuli, fanno immediatamente correre la mente all’estate del 1989, quando l’Udinese era in procinto di tesserare Ronny Rosenthal, attaccante israeliano dello Standard Liegi.
Un affare già perfezionato, ma che saltò, dopo che contro il giocatore sui muri dell’allora sede dell’Udinese in via Cotonificio furono trovate un paio di inequivocabili scritte antisemite: al centralino del club arrivarono pure telefonate minatorie.
L’Udinese smentì categoricamente, già allora, ogni possibile collegamento tra il mancato approdo in bianconero del giocatore e le proteste di una frangia della tifoseria: la bocciatura fu motivata con il mancato superamento delle visite mediche da parte dell’allora venticinquenne punta, a cui fu diagnosticata un’anomalia a livello del passaggio vertebrale L4-L5 di natura congenita, tale da condizionare sfavorevolmente gli esiti di eventi traumatici di una certa entità. Le scritte antisemite fecero però accendere i riflettori su Udine, appena tornata in serie A proprio quell’estate, con il caso che anche allora fece discutere nelle sedi della politica nazionale e regionale.
Il caso Maignan
Anche di recente il pallone è rotolato dal terreno dello stadio Friuli ai banchi delle assemblee politiche. Sabato 20 gennaio Udinese-Milan viene interrotta nel primo tempo perché, come segnalato nel referto dell’arbitro, una cinquantina di tifosi della curva Nord si era prodotta in cori razzisti nei confronti del portiere rossonero Mike Maignan. Proprio a seguito dell’episodio il giudice sportivo decise di chiudere per tre turni la curva. E la vicenda approdò anche in Senato.
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Soprattutto, monopolizzò per alcune settimane il dibattito politico locale, con la proposta del sindaco Alberto Felice De Toni di conferire all’estremo difensore francese la cittadinanza onoraria. Un «gesto forte» indicò il primo cittadino «per testimoniare i veri valori di questa terra» e fare di Udine un «simbolo della lotta al razzismo». Un gesto che si fermò alla proposta: per arrivare al conferimento della cittadinanza onoraria sarebbe servita la maggioranza qualificata (31 sì) e dunque anche i voti di una parte dell’opposizione, che invece scelse di votare in maniera compatta contro la proposta del sindaco.
«Il conferimento sarebbe quasi un’ammissione di colpa, mentre i tifosi dell’Udinese e i friulani non hanno nulla di cui scusarsi fermo restando la ferma condanna per il comportamento di quelle cinque persone», disse l’ex sindaco Pietro Fontanini, commentando l’esito del voto in aula.