I radical-chic non sono più quelli di una volta
Birkenstock ai piedi, cane rigorosamente di razza (quest’anno va il bassotto arlecchino), sigaretta elettronica e Cynar contro il logorio della vita moderna. L’amaro celebrato dalla pubblicità con Ernesto Calindri, per anni dimenticato, è tornato alla ribalta. Fragile simbolo di un radicalchicchismo sul viale del tramonto. Signora mia, non ci sono più i radical chic di una volta. E per averne certezza assoluta bastava assistere alla consueta serata finale del Premio Strega, dove l’unica cosa che si respirava, oltre l’afa, era la noia (più Angelina Mango che Jean-Paul Sartre).
C’era un tempo quando al Ninfeo si aggiravano potenti editori e si sventolavano gloriose cariatidi. Oggi l’unica idea che è venuta a questo disgraziato mondo è stata di fare vestire gli scrittori dalle firme dell’Alta moda. La vincitrice Donatella Di Pietrantonio era in Etro, Chiara Valerio in total white Dior e poi Missoni, Gucci, Lardini. Il risultato è stato così flebile, impalpabile come una seta di Fortuny, da far rimpiangere il golfino di lana bianca della zarina Anna Maria Rimoaldi. Insomma, se scrivi I Buddenbrook puoi stappare il bottiglione giallo fluo anche con i pantaloni a pinocchietto. Appunto, se scrivi I Buddenbrook.
Altro che Felicia Bernstein e il ricevimento dato in onore delle Pantere nere nell’attico in Park Avenue. «Qui non è rimasto niente, solo mutui e un disastro culturale», osserva con disincantata saudade Michele Masneri, «scrittoregiornalista» (ormai si scrive tutto attaccato), autore di Paradiso (Adelphi), il libro più dissacrante e divertente di quest’estate. «Una volta dovevi avere almeno un casale a Capalbio, una terrazza a Roma o Milano. Adesso la classe creativa, di cui purtroppo temo di fare parte, preferisco chiamarla “la fascia alta dei morti di fame”. Una definizione di Walter Siti più precisa di quella di radical-chic. Guadagniamo duemila euro al mese, abbiamo la casa al quarto piano senza ascensore, ma se ci accusano di appartenere a un’élite, noi inopinatamente ci caschiamo. Capalbio ormai è una mensa della Caritas dove noi, i cosiddetti creativi, andiamo in visita dai produttori, che se un tempo ci compravano le sceneggiature, oggi ci rifilano due pizzette e se va bene ci fanno fare un bagno in piscina».
Quello che fu il riposo del guerriero di sinistra oggi è abitato perlopiù da eredi di dinastie della finanza. Suv, Lamborghini, «friulane» dall’alba al tramonto (quest’anno vanno quelle con il cinturino, nun ve sbajate) e spremute da 12 euro. Un posto per ricchi, pure scomodo. E allora il vero rivoluzionario resta a casa, con l’aria condizionata. Oppure si ritrova a litigare all’Insalata Ricca di Roma. Come hanno fatto Paolo Virzì e Micaela Ramazzotti con il nuovo fidanzato, il gladiatore-personal trainer Claudio Pallitto. Uno scazzo epico, lanci di sedie, posate, telefonini. Gran finale con ambulanze. Tuttavia i cinici-Cynar sono perplessi, non tanto per la litigata, quella ci sta, ma per la location: «Come ti viene in mente di litigare all’Insalata Ricca? È il crollo assoluto, almeno fossero andati da Rocco (trattoria monticiana ambitissima) avrei capito». Eppure Virzì, con il pastore rigorosamente australiano, ha interpretato la sua migliore scena dai tempi di Caterina va in città. Il presente è molto più prosaico. La gente mormora di urla, stracci che volano e non solo stracci, impianti di irrigazione sempre in funzione alla faccia della siccità (da lui così ben raccontata). Quanto sono cattivi gli invidiosi.
Il maître à penser è diventato una figura annacquata, con l’antipatia come status symbol e alla fine si confonde con il generone. Come Paolo Genovese, regista il cui nome è legato alla tragedia del figlio, tornato amaramente alle cronache per essere caduto nel peccato veniale più trasversale del popolo italico: l’abuso edilizio. Ha dovuto demolire la piscina nella villa al Circeo. Da queste grandiose macerie si potrebbe trarre un romanzo, una sceneggiatura, forse anche una serie. Perché non è finita qui. L’abuso continua. Ora tocca alle «pergotende» installate nell’appartamento nel quartiere romano Coppedè. Ci piaceva immaginare che la verandina da condono fosse roba da macellaio del Flaminio (davanti cui possiamo solo inginocchiarci dal momento che vende più fettine lui che libri e giornali noi), ma ormai tutto è diventato melmoso, terribilmente mediocre.
In Paradiso c’è una strepitosa battuta: «Questi vogliono fare la “schwa” in un Paese che non ha mai saputo neanche scrivere sauté di cozze». Basta guardare i video della festa sull’Isola delle Femmine, organizzata settimane fa dalla «Palermo bene» (che poi «bene» cosa vorrà dire?), che resta un retrogusto fantozziano di vacanza con il mitico Franchino. Qui invece c’è la Marchesa Paola Pilo Bacci (e subito tutti a gridare «più Pilo per tutti») che ha dato il permesso o forse non poteva darlo a un baccanale guidato dal dj Mauriziotto, ex guardia costiera, che per quello che si è visto sui social avrebbe potuto ambire anche all’Ushuaia di Ibiza. Altro che queste carnevalate con il cartello «Save the Planet» e i bicchieri di carta, le cicche, le bottigliette di plastica lasciate a terra. Non si è ancora imparato l’abc del rivoluzionario: ora e sempre con la borraccia-eco. Continuiamo così, facciamoci del male. Una levigata banalità, come scrive Masneri, che traccia l’identikit di questa nuova classe, tanto ibrida che manco Max Weber avrebbe saputo dove collocare: «Ora il radical va in Salento, perché bisogna sempre essere scomodi, come se si dovesse patire ed espiare ataviche colpe. Dove si possono comprare palazzetti a 20 mila euro, poi ne spendi 150 mila di restauri, per scoprire che l’acquedotto non arriva. Manco puoi andare al mare o almeno ci devi andare presto per non trovare nessuno. E per presto si intende le quattro del mattino. Stai lì, fai chilometri in macchina, magari elettrica naturalmente con l’incubo di rimanere a piedi, perché non ci sono le colonnine, per raggiungere feste improbabili, dove ti chiedi: cosa ci faccio qui?».
Il côté green cresce più dell’ego: «Una volta si diceva “il mio olio”, oggi “le mie uova”. Le galline ornamentali sono l’ultima tendenza». Come ci ha ben insegnato Isabella Rossellini. E se un tempo tutti disegnavano gioielli, oggi fanno i produttori: «È un lavoro chic, fai feste, frequenti attori. Ci sono più produttori cinematografici che gente che va al cinema. Che poi una volta mettevano i soldi veri, oggi sono abili cercatori di fondi, che di solito sono pubblici».
Alla fine però la realtà è che i soldi sono perlopiù finiti e così il radical per mantenere lo chic e lo chèque si butta nell’economia circolare. Collane di cozze, lampadari con i tappi di sughero, borse con tessuti riciclati, loden sfoderati da usare anche d’estate. Tutte cose che si comprano tra di loro in mercatini vintage organizzati nei parchi delle tenute. Dove i giardini disegnati dal paesaggista hanno siepi potate da schiere di giardinieri. Perché, ricordate, se, come diceva Virginia Woolf, dietro a ogni grande uomo c’è una grande donna, dietro a ogni vero radical chic c’è (almeno) un devoto (si fa per dire) filippino.