«Il furto dal prefetto? Colpa del poliziotto»: è diffamazione, condannato il carabiniere
Duemila euro di multa. È la condanna inflitta all’ex comandante provinciale dei carabinieri di Treviso Nicolò Gebbia, 74 anni, per aver diffamato un ex poliziotto della squadra mobile Salvatore Schirru (costituitosi parte civile con l’avvocato Stefano Pietrobon), accusandolo in un intervento sul web che l’agente era stato l’organizzatore di un clamoroso furto in casa del Prefetto. L’ufficiale in pensione (difeso dall’avvocato Catia Salvalaggio) dovrà risarcire Schirru con 3.500 euro. È l’esito della sentenza di primo grado, stabilita dal giudice Laura Contini.
La vicenda risale all’estate 2020, e nasce da un post apparso sul profilo Facebook di Gebbia in cui l’ex ufficiale si abbandonava ai ricordi dei tempi in cui era al vertice del comando di via Cornarotta e svelava il retroscena di un furto eccellente avvenuto nella casa di Corrado Spadaccini, allora Prefetto di Treviso.
Nel post Gebbia rivelava che a organizzare il colpo che fruttò ai ladri una collezione di orologi di pregio e gioielli della moglie dell’alto funzionario dello Stato era stato “un famoso agente della questura di Treviso” di cui citava la provenienza regionale (“di origine sarda”), fornendo le prime due lettere del cognome e le tre finali (“il cui cognome comincia per S e C e finisce con due R seguite da una U”).
Insomma, un nome facilmente individuabile tanto che, nel capo d’accusa, si sottolineava come «identificassero univocamente l’autore del reato nel querelante Salvatore Schirru».
Non a caso, il giorno del post, il poliziotto ricevette diverse segnalazioni dai colleghi, inducendolo così a sporgere querela. Nel lungo post erano citate persone note, dai Benetton al “capo indiscusso degli zingari Adriano Udorovic”.
Il post incriminato partiva da una provocazione: dare alla famiglia Benetton la gestione del Mose. Ma tra la premessa e la conclusione Gebbia, rivolgendosi ai suoi “25 lettori” di manzoniana memoria, rivelava il retroscena del “giallo” del colpo in casa di Spadaccini, avvenuto alla fine degli anni ’90. Un furto che per competenza sarebbe dovuto essere oggetto d’indagine della polizia ma che, sempre secondo Gebbia, su preghiera dell’allora prefetto (“che non aveva fiducia nelle virtù investigative della Mobile”) lo coinvolse di persona in “indagini parallele”.
E fu a quel punto che entrarono in scena la famiglia Benetton e Hudorovic. Come? Lo spiegava lo stesso Gebbia nel post. «Convocai Adriano Udorovic, il capo indiscusso degli zingari, - scrisse Gebbia nel post - che avevano la quasi titolarità di tutti i furti consumati in provincia, e gli chiesi notizie. Lui mi assicurò che il clan era estraneo al furto, per la cui consumazione, tuttavia, era certo che ci fosse stata una complicità interna. Gli chiesi se riteneva di potere recuperare la refurtiva, e subito pose una pregiudiziale: sua figlia si sposava 20 giorni dopo con il figlio del capo degli zingari olandesi. Il matrimonio si sarebbe tenuto in un grande accampamento zigano, che avrebbe visto arrivare caravan da tutta Europa. L’unico appezzamento di terreno adatto alla bisogna era quello, incolto, che si trovava a ridosso del Palabenetton, il centro sportivo della Famiglia».
Gebbia, in sintesi, pur di arrivare alla soluzione del caso, sostenne di aver fatto da mediatore con la famiglia Benetton per dare a Hudorovic la disponibilità del terreno in questione dove celebrare il matrimonio. Ma a nozze avvenute, Hudorovic si sarebbe defilato. «Fu la più grande fregatura - si leggeva nel post - inflittami da un confidente durante tutta la mia carriera. La refurtiva, infatti, non tornò mai indietro».
Alcuni anni più tardi Gebbia dice di aver incontrato Hudorovic che gli rivelò di essere stato sul punto di recuperare la refurtiva in cambio di 10 milioni presso un albergo di Vittorio Veneto.
«Ma mentre si trovava seduto nel locale - scrisse Gebbia - Hudorovic fu avvicinato dall’organizzatore del furto, un famoso agente della questura di Treviso di origine sarda il cui cognome comincia con S e C e finisce con due r e una U. Hudorovic sostiene che l’uomo fu telegrafico con lui: “Se tra 5 minuti non sei a 5 km da qui ti sparo”». E così, concluse Gebbia, il furto più clamoroso degli anni Novanta nella Marca non venne risolto.
Dopo essere stato querelato, Gebbia scrisse un altro post correggendo il tiro: «Un ex capo della squadra mobile mi ha detto che quel poliziotto, citato da me nel blog, è una persona per bene e non avrebbe mai potuto organizzare un furto dal prefetto». Ma ciò non gli ha evitato il processo.