“Ghost Detainee”, lunedì 5 agosto su La7 il film documentario sul rapimento di Abu Omar e sul baratto scellerato tra diritti e sicurezza
In prima serata su La7, lunedì 5 agosto, andrà in onda in prima visione tv Ghost Detainee – Il caso Abu Omar, inchiesta che getta luce su uno dei casi più controversi degli ultimi decenni. Il documentario porta sul piccolo schermo (dopo una presentazione cinematografica lo scorso inverno) la vicenda giudiziaria del rapimento dell’imam egiziano Abu Omar, avvenuto a Milano nel 2003. Un’operazione segreta condotta dalla Cia con la collaborazione del SISMI, il servizio segreto militare italiano. Questo caso è diventato emblematico delle pratiche di “extraordinary rendition“, ovvero il trasferimento di sospetti terroristi in paesi dove possono essere interrogati con metodi non consentiti dalla legge statunitense. Il caso Abu Omar è infatti il primo al mondo in cui un sequestro di Stato operato dalla CIA finisce al centro di un’indagine della magistratura di un Paese alleato. Attraverso testimonianze inedite, documenti esclusivi e un’analisi approfondita, “Ghost Detainee – Il caso Abu Omar” mette in luce le implicazioni legali e morali di tali operazioni, offrendo uno sguardo critico su pratiche che hanno sollevato forti dibattiti a livello internazionale sui diritti umani e la giustizia. Distribuito da ILBE, che lo ha anche prodotto in collaborazione con In Bloom, Flair Media Production e La7, il documentario ripercorre tutta la vicenda attraverso interviste esclusive. Il documentario è dedicato ad Andrea Purgatori che aveva iniziato a lavorare sul progetto con Marina Loi e Flavia Triggiani prima della sua scomparsa. Ecco una clip in esclusiva.
Gianni Barbacetto ha recensito questo documentario il 6 febbraio scorso per il Fatto Quotidiano. Qui di seguito riportiamo integralmente il suo articolo su Ghost Detainee.
È il racconto di una pessima figura fatta dalla Cia e dai servizi segreti italiani. Ma anche di una ferita globale inferta alle leggi e alle Costituzioni. L’Italia ha dovuto “soggiacere” all’alleato americano. In nome di un baratto scellerato, e oltretutto mal riuscito: diritti umani in cambio di sicurezza. È Ghost Detainee, un film documentario scritto e diretto da Flavia Triggiani e Marina Loi, in questi giorni nelle sale. Narra, tra Milano, Il Cairo e New York, il rapimento di Abu Omar, imam egiziano che predicava nelle moschee milanesi, rapito il 17 febbraio 2003 dalla Cia e portato in Egitto dove è stato imprigionato e torturato per mesi. È una delle tante extraordinary renditions che gli Usa di Bush realizzano nel mondo dopo l’attacco di al Qaeda dell’11 settembre 2001: gli Stati Uniti “si levano i guanti” per fare una guerra al terrorismo anche con mezzi extralegali. Ma è anche l’unico caso in cui un Paese amico, l’Italia, conduce una clamorosa inchiesta che riesce a individuare i responsabili e a condannarli. Sono 26 agenti della Cia che vengono beffati da un’indagine condotta dai magistrati Armando Spataro e Ferdinando Pomarici, convinti che la legge debba essere uguale per tutti: “Uno Stato non può comportarsi come l’Anonima sequestri”. Gli agenti americani, del resto, a Milano non cancellano le tracce, usano le carte di credito, lasciano la scia dei loro cellulari dal luogo del rapimento fino alla base Usa di Aviano. Giornalisti, studiosi, analisti italiani e americani ricostruiscono il rapimento, l’inchiesta, il processo. Compreso il coinvolgimento degli uomini del Sismi, il servizio segreto militare italiano, che vengono prima condannati, ma infine salvati dal segreto di Stato e da una sentenza della Corte costituzionale che costringe i giudici penali a pronunciare una sentenza di “non doversi procedere per l’esistenza del segreto di Stato”. Ci pensano quattro governi (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta) a porre il segreto e due presidenti della Repubblica (Napolitano e Mattarella) a concedere amnistie parziali anche per alcuni degli americani. L’esito è comunque impietoso: Abu Omar era un “pesce piccolo” da tenere sotto controllo (come già stava facendo la Procura milanese, che lo ha poi fatto condannare a 6 anni per terrorismo), ma il suo rapimento fu inutile, anzi controproducente: “Ha non indebolito, ma rafforzato il terrorismo islamico”, spiega nel film il giudice svizzero Dick Marty. L’imam racconta in presa diretta la sua storia, il sequestro, le torture. Parlano la moglie Nabila Ghali, l’avvocato Carmelo Scambia. Parlano anche alcuni uomini del mondo dell’intelligence italiana: Nicolò Pollari, il direttore del Sismi salvato dal segreto di Stato; l’ex dirigente Sismi Umberto Saccone; il delegato per la sicurezza del governo Draghi Franco Gabrielli. Pollari continua a negare il coinvolgimento dell’agenzia “nell’azione”. Ma non parla dei rapporti con la Cia. Dice solo che “i servizi prendono informazioni”, poi “passano l’incombenza” agli operativi. Si spinge un po’ più in là Gabrielli, che sfodera il verbo soggiacere: “Il nostro Paese dal dopoguerra a oggi ha avuto un ruolo che lo ha visto soggiacere agli interessi di potenze più significative, anche nell’ambito di alleanze liberamente accettare”. Per la vicenda, l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
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