Parigi 2024: Djokovic asso pigliatutto. Cosa resta da vincere?
L’immagine che resta, dopo la vittoria della medaglia d’Oro Olimpica, è quella di Novak Djokovic che raggiunge il suo angolo in lacrime, abbracciando suo figlia Tara. La stessa che durante la finale con Alcaraz ha esibito un cartellone in favore di telecamera con scritto: “Papà sei il migliore”. In quell’abbraccio ci sono tutte le emozioni covate dal Re serbo, in un paradossale scambio di ruoli, come se fosse lui il figlio e Tara una figura materna, consolatoria. Sta circolando in queste ore un vecchio video di una tv locale serba che intervista un Djokovic bambino, della stessa età della sua secondogenita oggi. Alla domanda “Cosa vuoi diventare da grande” il Nole bambino aveva risposto “Il numero uno del mondo nel tennis”.
Oggi quel bambino ha 30 anni di vita in più, di battaglie, di successi, di record, di sconfitte, e da oggi di trionfi Olimpici. “Ho dato cuore e anima per questo oro, il mio primo a 37 anni. Sono felicissimo soprattutto per la mia Serbia. E’ stata una battaglia incredibile: quasi tre ore per soli due set”, ha detto Djokovic al termine dell’incontro. Una vittoria che lo innalza nel gotha dello sport mondiale – come se non ne appartenesse già da tempo. Nole è ora il quinto giocatore della storia a vincere il “Career Golden Slam”, ovvero a conquistare i 4 Grandi Slam e l’oro olimpico in singolare: prima di lui ci erano riusciti solo Rafael Nadal, Andre Agassi, Steffi Graf e Serena Williams.
Non la prima medaglia olimpica per Djokovic; nel 2008 a Pechino conquistò un bronzo sconfiggendo lo statunitense Blake. Adesso alla quinta Olimpiade centra il gradino più alto del podio, e minaccia di non arrestarsi qua. “Beh, è vero, avrò 41 anni quando si giocheranno i Giochi Olimpici di Los Angeles e mi piacerebbe esserci“. Un campione che ha vinto tutto: 24 successi in 37 finali del Grande Slam: 10 Australian Open, 7 Wimbledon, 4 US Open e 3 Roland Garros. Record per numero di 1000 vinti (40), e per ATP Finals conquistate (7). E’ terzo per titoli vinti in carriera, raggiungendo quota 99 nella graduatoria, dietro solamente allo statunitense Jimmy Connors (109) e allo svizzero Roger Federer (103).
Il rimpianto di non aver conquistato il Grand Slam resta (i quattro titoli major nello stesso anno), impresa riuscita solo a Don Budge e Rod Laver in passato. C’è andato vicino, vicinissimo nel 2021, quando perse la finale dello US Open dal russo Medvedev in tre set netti. Anche Stan Wawrinka ha avuto l’ardire di interrompere la sua cavalcata nell’anno di grazia 2015 (finale al Roland Garros persa, nello stesso Chatrier che adesso lo ha ripagato).
Adesso però che l’agognata medaglia d’oro è in bacheca cosa resta da fare al più grande di sempre? “So già di aver vinto tutti i grandi tornei ma amo ancora troppo questo sport, amo competere e allenarmi ogni giorno. Voglio continuare a migliorarmi e prendermi cura del mio corpo“. Forse la sfida si è spostata su binari diversi, non più su un campo da gioco, bensì contro Padre Tempo, colui che non può essere sconfitto. Continuare a giocare contro i più giovani, metterli alla prova, mettersi alla prova. L’età è solo un numero e Novak probabilmente continuerà ad esplorare i limiti del suo corpo, della scienza, dello sport. Come LeBron James a 40 anni, anche lui a Parigi in cerca del terzo Oro Olimpico con Team USA.
Intanto la notte è calata su Parigi, Novak dorme accanto ai suoi figli, la medaglia al collo. Ripensa a quando era un bambino di 7 anni, le bombe che cadevano sulla sua testa in Serbia, la paura, e quel sogno di giocare a tennis e di diventare il numero uno di sempre, di vincere Wimbledon, di conquistare una medaglia per la sua nazione. Adesso quel bambino è diventato uomo, adesso quel bambino è Campione.