Emanuela Orlandi, gli audio esclusivi | La telefonata dell’Amerikano: “In un cestino di rifiuti troverete la prova che è nelle nostre mani”
La scomparsa di Emanuela Orlandi è uno dei misteri più oscuri e complessi del nostro Paese. Mentre ci sono tre inchieste aperte per far luce sul caso della 15enne vaticana scomparsa nel 1983, proponiamo una ricostruzione accurata delle prime fasi della vicenda, con audio dell’epoca concessi a FqMagazine in esclusiva da Pietro Orlandi.
La prima svolta
Tutto cambia il 3 luglio. Al termine dell’“Angelus Domini”, Papa Wojtyla rivolgendosi ai 40 mila fedeli, fa un appello per Emanuela Orlandi “che da mercoledì 22 giugno non ha fatto ritorno a casa. Condivido le ansie e l’angosciosa trepidazione dei genitori, non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità di questo caso”. Sul comunicato della sala stampa vaticana per gli appelli di Giovanni Paolo II era scritta la categoria dei vari interventi. Per l’appello che riguardava Emanuela la categoria era “sequestri di persona”. La situazione appare subito grave alle gerarchie vaticane, dopo il primo appello del Papa: monsignor Casaroli convoca d’urgenza la Segreteria di Stato. L’allarme di un’azione tesa a colpire il Vaticano circolava già da mesi. Seguono il caso, il Sostituto Procuratore Margherita Gerunda e il Capo della Squadra mobile di Roma Luigi De Sena. Il 5 luglio uno sconosciuto telefona alla sala stampa della Città del Vaticano. Ha un accento anglosassone, viene chiamato “l’Amerikano”.
Riporta alcune importanti informazioni sulla ragazza che gli sono state date da altri elementi dell’organizzazione alla quale anche lui fa capo, si chiamano Mario e Pierluigi che definisce i loro emissari. Pone la condizione per il rilascio di Emanuela: “Entro il 20 luglio Papa Wojtyla deve intervenire per la liberazione di Alì Agca”, il terrorista turco che ha attentato alla vita del Papa in Piazza San Pietro due anni prima. Fornisce un codice di riconoscimento per i contatti successivi: è il numero 158. La Santa Sede non darà mai notizia di questo contatto. Un’ora dopo l’Amerikano telefona a casa Orlandi e fa ascoltare un nastro con la voce di Emanuela registrata su un nastro.
Nel luglio del 1983 viene ascoltato dagli inquirenti, tra gli altri, Angelo Rotatori, amico di infanzia di Emanuela del “gruppo” del Vaticano. Dichiara che dopo aver aspettato invano Emanuela davanti al Palazzaccio insieme a Cristina Orlandi, quel 22 giugno va a Piazza S. Apollinare per capire se Emanuela si fosse intrattenuta con qualcuno. Esaminando un album fotografico raffigurante 18 personaggi, con un’alta percentuale di sicurezza, riconosce Marco Sarnataro quello che in quella occasione li seguiva a distanza. Si trattava di un ragazzo “responsabile di numerosi reati contro il patrimonio e per spaccio e detenzione di sostanze stupefacenti. Inoltre lo stesso era legato a Cassani Angelo, detto Ciletto, elemento di spicco del cosiddetto “gruppo dei Testaccini”, organizzazione criminale che faceva capo ad Abbruciati Danilo e De Pedis Enrico”. (fonte: Blog di Emanuela Orlandi).
Marco Sarnataro, morto nel 2007, avrebbe raccontato al padre Salvatore (interrogato più volte tra il 2008 e il 2009) di aver partecipato al sequestro di Emanuela Orlandi insieme a “Ciletto” e “Gigetto”. In base al suo racconto (da un verbale del 2008 che risale alla seconda inchiesta su Emanuela Orlandi della procura di Roma) il sequestro sarebbe avvenuto dopo un pedinamento fatto alla ragazza nei giorni antecedenti al rapimento, e l’ordine sarebbe partito da Enrico De Pedis. Sarnataro poi confessa al padre, mentre sono entrambi in carcere a Regina Coeli, che per questo lavoro, il “presidente” gli ha regalato una moto Suzuki 1.100. Il 6 luglio, arriva una telefonata alla redazione dell’Ansa di Roma. Le condizioni non cambiano. Si richiede la scarcerazione di Agca. “In Piazza del Parlamento, in un cestino di rifiuti troverete la prova che la ragazza è nelle nostre mani”: dice l’anonimo ricattatore al cronista dell’Ansa che va nel luogo indicato dove recupera una busta di colore giallo con dentro una fotocopia della tessera di iscrizione alla scuola di musica, una ricevuta di versamento, poche parole di saluto scritte di pugno da Emanuela ed il suo numero di telefono.
Il 7 luglio L’amerikano telefona di nuovo a casa Orlandi. Parla con lo zio di Emanuela, Mario Meneguzzi che fa le veci del padre, troppo provato per parlare. Gli riporta altri dettagli importanti sulla sua vita, come prova del rapimento. La mattina dell’8 luglio alcuni giornali riportano le ipotesi della polizia secondo le quali i rapitori di Emanuela sarebbero un gruppo terrorista che opera con finalità ben precise. La sera stessa, uno sconosciuto con accento mediorientale telefona a casa di una compagna di scuola di Emanuela, Laura Casagrande. Risponde la madre a cui detta un messaggio da consegnare all’Ansa. Il termine della trattativa è il 20 luglio. Ci tengono a rivendicare soltanto tre contatti: il primo, martedì 5 luglio con la segreteria di Stato vaticana; quel giorno stesso stesso ,ai familiari e una terza e ultima volevo a con l’Ansa mercoledì 6 luglio. “Le precedenti telefonate di cui riferiscono gli organi di stampa non ci appartengono”, dicono alla madre della ragazza.
10 luglio: all’Angelus, il papa fa il secondo appello per Emanuela. Quella sera, alla redazione del quotidiano Paese Sera arrivano tre telefonate. L’Amerikano fa sapere al giornalista Sandro Mazzerioli che nella cappella dell’aeroporto di Fiumicino c’è un biglietto di Emanuela per i suoi genitori, scritto sul retro della tessera di iscrizione della ragazza all’istituto di musica. “Per Ercole e Maria Orlandi. Cari mamma e papà, non state in pensiero per me, io sto bene”. Quello stesso giorno, alle 19,30 il solito individuo dall’accento straniero telefona a casa Orlandi e comunica alcuni particolari su Emanuela. Non saranno però gli stessi che lo zio di Emanuela Mario Meneguzzi aveva richiesto attraverso la stampa.
Telefonata dell’amerikano a Casa Orlandi
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