Il caldo sta sciogliendo i ghiacciai, gli esperti:«Già raggiunto il Glacier loss day»
Anche il ghiacciaio della Marmolada ha raggiunto, anzi superato, il Glacier loss day, “Il giorno della perdita di ghiaccio”. Lo ha confermato Mauro Valt, ricercatore dell’Arpav di Arabba, ai microfoni di Rai 1.
Nei giorni scorsi i tecnici dell’Ufficio provinciale idrologia e dighe dell’Agenzia per la Protezione civile della Provincia di Bolzano hanno effettuato i primi sopralluoghi estivi sui ghiacciai dell’Alto Adige per l’elaborazione del consueto bilancio di massa, ovvero la differenza tra l’incremento di massa (accumulo) e le perdite per ablazione (fusione di neve e ghiaccio).
«I ghiacciai sono uno specchio del sistema climatico», ricorda il presidente della Provincia Arno Kompatscher, responsabile per la Protezione civile all’interno della giunta provinciale altoatesina. «Da qui al 2050 la metà della massa dei ghiacciai alpini sarà scomparsa e con essa sparirà anche un elemento importante del ciclo dell’acqua, poiché le masse ghiacciate in alta montagna ricoprono la funzione fondamentale di serbatoi idrici naturali».
Succede altrettanto anche sulla Marmolada e su quelle lingue di ghiaccio che sono rimaste sul Civetta, sul Sorapis e sull’Antelao? «Purtroppo sì», risponde Valt. «I ghiacciai delle Dolomiti sono per loro natura piccoli e sensibili alle temperature. È vero, abbiamo avuto i mesi di marzo ed aprile molti nevosi, ma l’ultimo mese è stato molto caldo su tutte le Alpi. Sulla cima della Marmolada, dalla prima decade di luglio, le temperature sono state sempre positive (di notte minime anche a +5°). I ghiacciai stanno riducendo la loro dimensione perché da una parte c’è la mancanza di nevicate durante tanti anni e per l’aumento delle temperature estive».
Roberto Dinale, direttore dell’Agenzia di Bolzano afferma di aver constato che «la situazione dei ghiacciai è simile in tutte le zone della provincia. E quindi, presumibilmente, delle Dolomiti. Sul ghiacciaio di Malavalle in Val Ridanna, sulla Vedretta Lunga in Val Martello e sulla Vedretta occidentale di Ries a Riva di Tures circa il 50% della superficie glaciale è priva di neve, e anche a quote più elevate le riserve di neve invernale sono modeste. In pratica, i nostri ghiacciai hanno già raggiunto il Glacier loss day (giorno della perdita del ghiacciaio) di quest’anno». Con questo termine si intende il momento in cui la massa nevosa accumulata durante l’inverno si esaurisce e il bilancio annuale inizia ad andare in negativo. Il Glacier Loss Day è pertanto un importante indicatore delle condizioni di un ghiacciaio.
«Le lingue dei ghiacciai hanno registrato una perdita variabile tra il metro e mezzo e i due metri di ghiaccio», riferisce Dinale. «Oltre i 3000 metri di quota c’è ancora un po’ di neve stagionale, tuttavia, con lo zero termico al di sopra dei 4000 metri e temperature notturne superiori allo zero, durante il giorno si sciolgono circa 10 centimetri di neve e 5 centimetri di ghiaccio, per cui la situazione è in rapido peggioramento. Il fenomeno è particolarmente evidente in quelle zone in cui la superficie del ghiacciaio è ricoperta da strati di detriti, polveri sottili o sabbia sahariana e che assorbono ancora più energia rispetto a un ghiacciaio non ricoperto da questi elementi».
Quanto prima si verifica il Glacier loss day, tanto più tempo il ghiacciaio continuerà a perdere volume e quindi massa fino al termine dell’estate. Nel 2022 questo giorno arrivò addirittura un mese e mezzo prima di quest’anno: «Questo dato però», sottolinea Dinale, «non ci deve consolare, poiché anche stavolta a fine settembre registreremo un bilancio di massa chiaramente negativo».
In questi giorni la Marmolada ha registrato un rialzo delle temperature con picchi fino a 14 gradi. Il distacco del seracco è avvenuto il 3 luglio 2022, con la tragedia che ne è conseguita, a una temperatura inferiore di qualche grado. «Quando siamo in ambiente naturale, che sia mare, collina o montagna, ci sono dei rischi. Per noi tecnici è difficile fare delle analogie tra l’evento drammatico della Marmolada con la situazione attuale e per rispetto anche delle vittime non me la sento», ha precisato Valt in tv, «di esprimere un giudizio se c’è analogia».
Il ricercatore di Arpav è anche un esperto di Permafrost. E la situazione che prospetta per la stazione del Piz Boè, sopra Arabba, non è delle più rassicuranti. «Abbiamo realizzato un foro profondo 30 metri con dei sensori che misurano la temperatura della roccia e i dati degli ultimi 11 anni dimostrano riscaldamento generale della roccia, del detrito, e un assottigliamento di quello strato che rimane sempre gelato anche d’estate. Le conseguenze è che viene a mancare il ghiaccio, quel legame che tiene insieme i detriti rocciosi, le rocce sui pendii più scoscesi».
Valt si sofferma anche sulla neve cosiddetta rossa. «Quelle sabbie provengono dalla Mauritania e dal Mali e sono conseguenze di minimi depressionali sulla Spagna e sulla Francia che coinvolgono questa grande quantità di aria carica di sabbia, pulviscolo atmosferico molto piccolo che può arrivare anche in Germania. L’episodio recente più eclatante è stato verso il 18-20 giugno con grandi piogge e deposito di pulviscolo ma anche nei giorni scorsi è stato registrato un deposito di sabbia sulle Alpi svizzere per cui è un fenomeno ricorrente», conclude.