“Disturbi alimentari, infortuni, ma un incontro in treno mi ha cambiato la vita. Così ho vinto l’oro alle Olimpiadi”: la commozione di Sarah Fahr
Un sorriso gigantesco, che brilla quasi quanto l’oro che ha portato a Piombino, la città che l’ha adottata (lei è nata in Germania) e l’ha cresciuta sportivamente e non solo. Ed è bellissimo vedere, rivedere e vedere ancora quello splendido sorriso sul volto di Sarah Luisa Fahr quando quella palla esce dal rettangolo e certifica il trionfo, storico, della Nazionale italiana di volley alle Olimpiadi 2024.
“Campionessa olimpica? È una gioia immensa, indescrivibile – spiega Fahr in un’intervista al Corriere della Sera -. Dopo la semifinale ho pensato: ‘Wow, non ci credo, abbiamo vinto la prima medaglia del volley femminile italiano’. Poi ha preso spazio la consapevolezza che non avevamo ancora finito”.
E il nastro dei ricordi, quindi, si riavvolge all’11 agosto, quando l’ultimo pallone contro gli USA è valso un oro olimpico: “Ho un po’ di nebbia su quell’istante, ricordo le lacrime di gioia. Non è stato semplice gestire l’euforia per il traguardo raggiunto e la necessità di essere concentrate per finire il lavoro. Ho realizzato davvero solo quando sono arrivata in Italia e in tantissimi hanno cominciato a fermarmi per farmi i complimenti o chiedere una foto”, ha spiegato la centrale azzurra.
Una carriera ricca di trofei, tantissimi, nonostante i 23 anni di età: parliamo di 4 campionati italiani, 4 Coppe Italia, 3 Supercoppe e 2 Champions League. Tutti con la maglia dell’Imoco Volley Conegliano. Mancava, però, il riconoscimento olimpico, quello che vale una vita, una carriera e un riscatto dopo tante sofferenze. “Guardando al mio passato in maniera lucida, mi rendo conto che quelle sofferenze, anche atroci, mi hanno aiutata a crescere – spiega l’atleta -. Senza quel conflitto col mio corpo, la lotta col cibo, i due infortuni gravi non sarei la donna e l’atleta che sono ora“.
E non è facile venire a patti con lo sport, specialmente per Fahr, che sarebbe voluta diventare una ginnasta, ma il corpo, data la statura (1.92 m di altezza), non gliel’ha permesso. Ma la passione per la pallavolo ha preso il sopravvento quando aveva dieci anni. L’adolescenza, però, è una girandola di emozioni, perché “il tuo corpo comincia a cambiare e ti sembra di vedere il giudizio negli occhi degli altri – ricorda Fahr -. Poi la pandemia, col passaggio dal Club Italia a Conegliano nella stagione dell’Olimpiade. Volevo sentirmi all’altezza, essere più magra, più atletica, più tutto. Ho iniziato una dieta sempre più ferrea: mi logorava nell’anima. Ci è voluto un po’ per capire che ero nel pieno di un disturbo dell’alimentazione. E sono sicura sia stata una delle cause del primo infortunio”.
Come sempre, è l’affetto di chi ti circonda a salvarti dal baratro: “In quell’anno ho conosciuto anche Nicolò, il mio fidanzato, che mi ha presa per mano, mi ha riportata sulla terra e mi ha accompagnato fuori dal tunnel. Da un paio d’anni ne sono fuori e ne parlo perché spero che la mia storia possa aiutare tante altre persone: se ne può uscire”.
Non è un caso, dunque, se la dote olimpica più importante è quella di ‘non mollare mai’. E questo vale nello sport e nella vita. Ma spesso, il dolore è così grande da spezzare qualsiasi mente, per quanto salda essa sia. Ma anche un semplice incontro, per quanto banale possa sembrare, può cambiare il corso naturale degli eventi: “La seconda volta che mi sono rotta il crociato volevo smettere. La prima l’avevo affrontata col sorriso, la seconda ero disperata, svuotata. Stavo mollando, finché non ho incontrato un libraio di Conegliano sul treno per andare a farmi operare, controvoglia, a Roma – racconta la Fahr -. Abbiamo iniziato a chiacchierare. Mi ha detto che era un tifoso dell’Imoco e ho cominciato a vomitargli addosso il mio dolore. Mi aspettavo la sua compassione, invece era impassibile, quasi non gli importasse di quello che stavo raccontando. Poi mi ha detto che era semiparalizzato e che aveva ripreso a camminare dopo 18 anni di fisioterapia. Da allora tutto ha trovato un senso nuovo”, conclude Sarah.
Dal dolore più grande alla gioia ineffabile. Lo sport è “come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita” (per dirla alla Forrest Gump): un giorno possono esserci lacrime, quell’altro il primo oro olimpico nella storia del volley italiano (maschile e femminile).
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