Lega, la strategia dell’astensione contro lo spettro del referendum anti Autonomia
Le regioni si mobilitano: Toscana e Sardegna ricorrono alla Consulta contro la legge sull’Autonomia differenziata e il referendum ottiene già le 500 mila firme online.
Ma lo stato maggiore del Carroccio ha deciso: la battaglia per affossarlo sarà combattuta con “la strategia dell’astensione”, per non far raggiungere il quorum a sgretolare così il macigno di una sconfitta.
Ma questa scelta, come lo fu per Bettino Craxi nel 1991 quando invitò gli italiani “ad andare al mare” per boicottare il referendum di Mario Segni sulle preferenze, potrebbe essere foriera di guai seri.
Vediamo perché. Intanto, come si articola “la strategia dell’astensione”? Quando la battaglia entrerà nel vivo in vista del referendum, dopo un anno passato a promuovere nei banchetti (a partire dal Veneto) le magnifiche virtù dell’Autonomia, la linea del Carroccio sarà quella di disertare le urne. Non di andare a votare contro l’abrogazione della legge, ma di non presentarsi ai seggi. Sintomo di forte incertezza su quello che potrebbe essere il risultato di una conta tra le due fazioni dei favorevoli e contrari.
Una linea, quella di “andare al mare” che andrà condivisa con gli altri partiti alleati, pena la non riuscita di tutta la campagna.
E il primo scoglio da superare, sarà il prezzo da pagare per ottenere un ok da Forza Italia. I dirigenti della Lega pensano però che ottenere il placet di Antonio Tajani non sarà difficile perché conviene anche a lui, anche se la postura degli azzurri, fagocitati dai governatori del sud è questa: “Non abbiamo ancora una posizione sul referendum, ma ne abbiamo una sull’Autonomia differenziata, sintetizzabile in due parole: una sfilza di dubbi”.
Ma anche per Forza Italia scegliere l’astensione potrebbe rivelarsi un modo dignitoso per uscire dalle secche, non potendo Tajani mettersi di traverso ad una riforma approvata dalla sua stessa maggioranza. Ma poi bisognerà fare i conti con l’oste, cioè con Giorgia Meloni, alle prese con l’amletico quesito se far andare avanti la sua riforma del premierato per misurarsi nel 2026 con un altro referendum o se rallentare tutto.
Ma in fondo anche alla premier, con un partito percorso dagli stessi dubbi di FI, timoroso di perdere consensi al sud, potrebbe convenire optare per l’astensione sull’Autonomia.
Con un rischio sotteso: l’invito a disertare le urne trasformerà la consultazione popolare in un referendum pro o contro Giorgia, molto più che se la battaglia fosse concentrata sul merito della materia, invitando i propri elettori ad andare a votare per confermare la riforma. L’invito ad “andare al mare” può sortire l’opposto, una mobilitazione di massa di tutti quelli che non la amano. Insomma, un bel rischio.
Salvini e i suoi però ritengono difficile che la maggioranza degli italiani si recherà nelle urne per rispondere “sì” al quesito se abrogare una legge che devolve alle regioni una serie di materie. Pure se di mezzo ci sono sanità e scuola.
Quindi hanno deciso di fare una battaglia considerata “win-win”: vinta in ogni caso. Tradotto: i fazzoletti verdi per un anno occuperanno spiagge, piazze e mercati sbandierando i vantaggi dell’Autonomia.
Poi, se la Corte costituzionale ammetterà nel 2025 il referendum delle opposizioni, i leghisti sono certi che alla prova dei fatti non otterrà il quorum.
Se invece il quesito verrà bocciato, ancora meglio, vittoria a tavolino. “Il nodo del referendum – svela un big della Lega - ci servirà per tenere alta l’attenzione della nostra gente sulla bandiera dell’Autonomia e arrivare carichi di consenso alle regionali”. Che, senza Zaia, saranno una bella sfida.