Lukaku, Buongiorno, Rafa Marin e Neres: il Napoli ha già speso 106 milioni (e il mercato non è finito) ma per Conte non basta
È un mercato quasi da 106 milioni di euro spesi e presto saranno anche di più. Il tutto, senza una cessione pesante all’orizzonte. Cosa succede a Napoli? I tifosi esultano, perché Aurelio De Laurentiis sta cercando di dare in mano al (carissimo) Antonio Conte una squadra che possa subito tornare a essere competitiva. E senza badare a spese davvero. L’ultima operazione è quella di Romelu Lukaku, che arriva a Napoli anche senza la cessione di Victor Osimhen. Era un’ipotesi che si raccontava da qualche settimana e che alla fine è diventata realtà. Ma, di nuovo, cosa è cambiato?
Prima di tutto, si devono riepilogare le cifre. Ieri il ds Giovanni Manna si è accordato nei dettagli con il Chelsea per un acquisto a titolo definitivo dell’attaccante: operazione da 30 milioni di euro più il 30% sulla futura rivendita. All’attaccante, un contratto di tre anni da otto milioni di euro netti più bonus, che al lordo peseranno però 12 (e non 16) milioni grazie al Decreto Crescita, che detassa le aziende che investono su determinati asset dall’estero (come appunto i calciatori). Di fatto, Lukaku costerà 66 milioni di euro in tre anni, e già così si capisce quanto non sia una cosa da poco.
Ma se si guarda più in generale il mercato del Napoli, balza all’occhio questo dato: circa 36 milioni per Buongiorno; circa 12 per Rafa Marin; 28 (bonus inclusi, ma facili da raggiungere) per Neres; 30 appunto per Lukaku. Totale? 106 milioni che nemmeno bastano per completare la rosa richiesta da Conte. L’allenatore vuole almeno un altro centrocampista e, mentre è stato bloccato Gilmour del Brighton per oltre 12 milioni di euro, è stata fatta una proposta al Manchester United per McTominay per 25 milioni di euro, con gli inglesi che ne chiedono addirittura 35. Di fatto, il Napoli potrebbe spendere, malcontati, quasi 150 milioni di euro, avendo per ora incassato sette milioni dalla cessione di Ostigaard. Vero, a questi se ne potrebbero aggiungere circa 30 per i diritti o obblighi di riscatto fissati per Cajuste, Natan e Lindstrom (tre acquisti arrivati l’anno scorso e già bocciati). Ma il saldo resta clamorosamente negativo.
Anche perché mancheranno gli introiti della Champions e, soprattutto, non è stata ancora trovata una quadra per la cessione di Osimhen: il nigeriano aspetta il 30 agosto per capire se potrà restare in Europa o se valutare il mercato arabo che chiuderà il 6 ottobre, ma che non lo scalda particolarmente.
Ma quindi, e si torna all’inizio, che succede a Napoli? Lo sforzo imponente della società è dettato da due fattori. Il primo, le esigenze di Conte, che erano preventivabili già a inizio mercato e che non sono tardate a emergere anche in pubblico: l’allenatore ha fatto capire a più riprese quanto la squadra non fosse all’altezza per gli obiettivi chiesti dalla società, anche nel breve termine. E ha preteso di più.
Il secondo, il campo. Che è poi la diretta conseguenza del primo punto. La sconfitta contro il Verona e la partita non entusiasmante nemmeno in Coppa Italia contro il Modena hanno fatto scattare un campanello d’allarme. Con De Laurentiis che non vuole perdere per il secondo anno di fila l’accesso alla Champions, prestigioso dal punto di vista sportivo ma fondamentale da quello economico. E quindi ha deciso di aprire il portafogli, facendo all-in. Un rischio abbastanza calcolato, ma comunque un rischio. Che non ammette molto margine d’errore.
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