La vera storia di Glesie Furlane, una battaglia pacifica e radicale per l’identità
«La speranza ha due figli: l’indignazione e il coraggio». Forse, questo pensiero di Sant’Agostino può farci intuire cosa mosse un gruppo di preti, nella Carnia di 50 anni fa, a farsi protagonisti di una protesta epocale.
Era il 28 agosto 1974, data emblematica, assunta come inizio ufficiale dell’attività di Glesie Furlane. Il clero carnico era stato riunito nella Pieve di San Pietro a Zuglio per un incontro voluto dal vescovo Battisti, insediato da poco più di un anno, e dall’ausiliare Pizzoni.
I vescovi negarono la richiesta di celebrare la messa in lingua friulana. La reazione fu un gesto reale e simbolico. Un gruppo di preti, dopo aver deposto un documento firmato sull’altare maggiore, uscì di chiesa. «Una protesta pacifica ma chiara, radicale, inimmaginabile per la Chiesa, presa come nascita della nostra Associazione, della sua lunga marcia in campo ecclesiale, culturale, sociale».
Così racconta il presidente di Glesie Furlane, pre Romano Michelotti, che sarà al centro di un incontro proprio a Zuglio, come allora, domenica 25 agosto alle 16.30, nella pieve di San Pietro, nell’ambito di Avostanis, rassegna estiva dell’Associazione Culturale Colonos. Rievocando 50 anni di testimonianza, si darà voce a “La vera storia di Glesie furlane”.
A conversare con pre Romano sarà Federico Rossi, presidente dell’associazione Colonos e direttore artistico della rassegna. L’incontro, in collaborazione con “La Patrie dal Friûl”, vedrà la partecipazione del coro “Rôsas di mont” che interpreterà canti religiosi del passato.
Glesie Furlane aveva mosso i suoi primi passi già all’inizio degli anni ’70, prima della data emblematica, sulla spinta del Concilio Vaticano II, agli albori della teologia della liberazione e nel contesto politico della presa di coscienza dell’autonomismo friulano.
Pochi anni dopo il Concilio, era sorta la necessità di conoscere meglio la storia e la vita del popolo friulano: «C’era bisogno – continua pre Romano – di una chiesa maggiormente incarnata, di un Vangelo e di una fede che avessero il sapore della nostra terra, e dell’ingresso legittimo della nostra lingua e del nostro canto nella liturgia. Ecco allora l’impegno per recuperare i canti di tradizione orale, operazione da fare prima che morissero i vecchi cantori, custodi di questo patrimonio, e l’impegno per tradurre la “Bibie” e il “Messâl”, che tuttora attende l’approvazione da parte delle autorità preposte».
Glesie Furlane ha all’attivo un’ottantina di pubblicazioni, oltre a documenti importanti. Ha inoltre curato videoclip e una serie di CD di canti della tradizione patriarchina e popolare. Dalla storia a noi.
Cosa resta oggi della protesta del ‘74? Che senso abbia oggi lo chiediamo a pre Romano: «La globalizzazione ci spinge ancora di più a rimanere con la gente, a difendere identità, storia, cultura, lingua, fede, per non essere annientati da un grande frullatore che tutto appiattisce, rendendo più povera l’umanità. Non per creare steccati o competizioni con altre identità, ma per dialogare fraternamente».