È il 920esimo giorno di guerra in Ucraina, ma sembra di essere ancora all’inizio
È il 920esimo giorno di guerra in Ucraina, ma sembra di essere ancora all’inizio di un conflitto che non mostra alcun accenno di interruzione. Anzi, i combattimenti proseguono con un’intensità mai rilevata in precedenza. Da una parte l’esercito russo, umiliato dall’invasione ucraina della regione russa del Kursk, ha reagito scatenando una «tempesta di fuoco» sulle città e infrastrutture energetiche dell’Ucraina, colpendo indiscriminatamente tutto il Paese e così anche le regioni occidentali (secondo l’aeronautica militare di Kiev bombardieri, missili e droni hanno colpito la capitale, Odessa, Leopoli, Vinnicya e le regioni di Kherson, Kirovohrad, Sumy, Poltava, Chernihiv, Zhytomyr, Zaporizhia). Intanto, l’esercito di Mosca spinge per conquistare Prokovsk, nel Donbass, per spezzare la linea del fronte orientale nella speranza di riprendere l’iniziativa della guerra e minacciare l’intero Est del Paese.
Dall’altro lato, tuttavia, le forze di Kiev – seppur in seria difficoltà nel settore orientale – appaiono alquanto rinvigorite, al punto da aver iniziato le manovre per sfondare il confine russo anche nella regione di Belgorod dove, al momento in cui scriviamo, sono in corso aspri combattimenti. Secondo fonti russe, circa 500 soldati ucraini (ma altre fonti ne indicano un numero ben superiore) si sono spinti a Nekhoteyevka e Shebekino. Probabilmente si sono mossi dalla vicina Kharkiv, la seconda più grande città ucraina, vicina al confine con Belgorod, che a sua volta confina con la regione di Kursk dove le truppe ucraine sono già penetrate lo scorso 6 agosto. Prendere anche Belgorod, già martellata da Kiev in questi due anni, sarebbe la conferma che Kiev è non solo determinata ma ancora pienamente in grado di mettere Mosca in serie difficoltà.
In tal senso vanno anche le indiscrezioni, provenienti dallo stesso Ministero della Difesa russo, secondo cui le forze armate del Cremlino avrebbero respinto un tentativo di sbarco di un gruppo di sabotaggio e ricognizione ucraino intorno a Kinburn Spit, sulla costa marittima dell’estuario del Dnepr, nella regione di Kherson. Ovvero la regione dove Kiev aveva investito moltissime forze negli ultimi mesi, perché secondo i piani punta a superare il limite naturale del fiume in vista di un futuro assalto (almeno secondo i piani strategici militari) al lato orientale della regione. Da qui, in prospettiva c’è la riconquista territoriale più difficile e ambita: quella della penisola di Crimea, caduta in mano russa sin dal 2014 e ancora oggi ritenuta inespugnabile. Mosca ha affermato che all’assalto sul Dnepr avrebbero partecipato anche numerosi mercenari stranieri provenienti dalla Polonia, ma la notizia non può essere confermata.
Se le strategie ucraine sono non solo coerenti con i piani di guerra ma soprattutto efficaci, pare lo si debba al generale Oleksandr Syrsky, vero artefice del recente cambio di passo delle armate ucraine. Pur se descritto dai media occidentali come «non adatto a guidare il confronto con Mosca sul campo di battaglia in questa fase del conflitto», anche perché «troppo pronto a sacrificare truppe e mezzi e troppo docile alle richieste del mondo politico» ovvero di Zelensky, invece il generale sembra essere divenuto giorno dopo giorno il peggiore incubo di Vladimir Putin. Del resto, Syrsky ha un vantaggio non da poco: conosce a fondo la mentalità russa e le meccaniche del suo esercito perché non soltanto in Russia ci è nato, ma qui ha completato anche gli studi militari; inoltre, suo padre è un colonnello in pensione delle forze armate di Mosca, e anche questo lo ha reso agli occhi dei russi un «traditore», ma soprattutto un pericolo.
Syrsrky è stato criticatissimo dalle sue truppe perché accusato di crudeltà e disprezzo per le vite dei soldati - nell’accerchiamento di Debaltsevo del 2015 ha perso 3 mila unità, mentre nelle battaglie del 2022 a Soledar e Bakhmut il suo rifiuto di ritirare le truppe ha causato altre migliaia di vittime inutili. Ciò nonostante, sono suoi i «grandi successi» ottenuti dall’esercito ucraino: ovvero la difesa di Kiev e l’offensiva di Kharkiv, le due manovre che hanno impedito all’Ucraina di crollare sotto i colpi dell’invasore russo. E così anche la mossa a sorpresa di entrare in territorio russo per rimanerci.
Dopo la mossa orchestrata da Syrsky, Vladimir Putin ha perso le staffe con i suoi, ma ha comunque scelto di seguire lo stesso copione applicato più volte in passato di fronte a grandi tragedie, dall’affondamento del sottomarino atomico Kursk (esatto, quel nome torna periodicamente a tormentare la Russia) alla strage di Beslan: ossia Putin minimizza, riducendo ogni episodio imbarazzante a un fatto minore che non scalfisce né compromette il prestigio russo e la strategia politica di fondo del presidente. Intanto, però, ha dato ordine di scatenare il terrore: l’esercito russo ha infatti risposto in un primo tempo con l’arma che conosce meglio, la vendetta. Lanciando bombardamenti alla cieca sui civili, come sempre accade e come è ormai abitudine dei russi, e senza avere in mente alcuna strategia precisa, in questo modo ha temporaneamente perso l’iniziativa della guerra e si trova ora a dover rivedere molti dei piani iniziali, funestati dalle tattiche ardite (talvolta al limite dell’incoscienza) ma molto efficaci degli ucraini.
Riuscirà Mosca a espellere gli ucraini penetrati in territorio russo entro il primo di ottobre, ovvero tra circa quaranta giorni, come chiesto da Putin? Difficile crederlo, anche se in questa guerra tutto, anche l’impossibile, sembra diventare possibile. L’azzardo del generale Syrsky di penetrare nel Kursk – e, a quanto pare, anche a Belgorod – non è comunque più spregiudicato della stessa invasione dell’Ucraina da cui tutto ha avuto inizio. Al momento, dunque, per Mosca e per il suo prestigio internazionale le cose si mettono piuttosto male.