Venezuela, anche a Madrid una piazza contro Maduro. A un mese dalle urne mancano ancora i contestati atti elettorali
Con ritardo rispetto alle previsioni (e con le denunce di supposti attacchi informatici) il Consiglio Nazionale Elettorale – CNE (il cui presidente Elvis Amoroso è un chavista dichiarato), ha annunciato la vittoria di Maduro: questo senza però mostrare gli atti. I dubbi della comunità internazionale sono stati poi confermati dalle denunce di Maria Corina Machado, la leader dell’opposizione (vincitrice delle primarie) che, dopo essere stata arbitrariamente dichiarata ineleggibile, ha appoggiato la candidatura dell’ex diplomatico Edmundo Gonzalez Urrutia. Con un sistema di appoggio brillantemente pianificato e una rete di persone che si sono esposte alla repressione, il partito Vente Venezuela (partito di Machado) e i suoi alleati sono riusciti ad avere in loro possesso più dell’80% degli atti delle votazioni: cartelle elettorali appartenenti a centinaia di migliaia di seggi, caricate su un sito dove si può comprovare la vittoria, per goleada, di Gonzalez Urrutia su Maduro.
Di fronte a questa situazione il regime di Maduro ha reagito in modo scomposto e brutale, attivando i canali istituzionali che controlla e accelerando e sublimando le misure repressive che mette in atto da anni. Da un lato il delfino di Chavez ha attivato il Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ per la sua sigla in spagnolo) per ottenere una sentenza di regolarità della sua vittoria e una citazione per diversi reati contro Gonzalez Urrutia. Dall’altro si sono registrati almeno 1.505 arresti arbitrari confermati dall’ong Foro Penal (solo fino al 20 agosto). Attivisti, giornalisti, membri di Ong, persone comuni, rappresentanti di popoli indigeni e soprattutto persone del circolo più stretto di Machado, come l’italo venezuelano del partito Convergencia, Biagio Pilieri, arrestato ieri (insieme a suo figlio) mentre lasciava il luogo delle manifestazioni a Caracas dove aveva accompagnato la leader dell’opposizione. Una strategia che Maduro & Co avevano già usato contro Guaidó e che, non potendo colpire l’obiettivo centrale per paura di ritorsioni internazionali, mira a mantenerlo isolato e sotto costante minaccia.
Tra le persone arrestate si trovano centinai di minorenni che vedono i loro diritti vulnerati: per loro ieri Machado ha lanciato un accorato messaggio ai detenuti delle carceri: proteggeteli dagli abusi e dalle ritorsioni delle guardie. Sono state arrestate persone che apertamente hanno partecipato alle proteste, così come altre che hanno messo in dubbio i risultati annunciati dal CNE, si è inoltre approfittato per “regolare i conti” con persone che si opponevano a progetti decisi da Miraflores (come i progetti estrattivi nell’Arco Minerario dell’Orinoco) per imputarli come dissidenti e farli scomparire (per essere rieducati) dentro le stanze dell’Elicoide: la tristemente famosa carcere del Servizio Bolivariano di Intelligenza (SEBIN) dove si commette ogni tipo di abuso e tortura.
Maduro che ha tacciato l’operato di Machado come un piano satanico di destabilizzare il paese in combutta con gli Usa, ha definito Gonzalez Urrutia come un Guaidó 2.0, sfidandolo più volte a “mostrare la faccia”. Nel frattempo però si è trincerato, riformando il governo per avere al suo fianco i più fedeli e spietati compagni. Al Ministero della difesa è rimasto Padrino Lopez, mentre agli interni è stato nominato Diosdato Cabello (uomo forte e senza scrupoli del regime) che ora ha nelle sue mani i tribunali e la “calle”. Al ministerio del petrolio è stata nominata un’altra fedelissima, Delcy Rodriguez, per completare un quadro dove ci si prepara, secondo le stesse parole di colui che si sta mostrando oramai per il dittatore che è, ad una lotta senza quartiere dove se necessario, si chiedere aiuto “agli amici colombiani”. Parole usate in questi giorni da Maduro per fare riferimento ai dissidenti delle Farc e al ELN che da anni ricevono appoggio dal governo di Miraflores.
Dal punto di vista internazionale, dopo l’appoggio incondizionato ricevuto da Maduro da Cuba, Iran e Russia, arriva quello scontato dell’altro dittatore centroamericano, Daniel Ortega. Lo stesso ha dichiarato che è pronto ad inviare combattenti sandinisti per difendere la rivoluzione del comandante Chavez, tacciando Petro (Colombia) e Lula (Brasile) come dei pavidi per non avere preso le difese della rivoluzione bolivariana. Una posizione quella di Colombia e Brasile che rimane neutrale, non riconoscendo la vittoria Maduro (né quella di Gonzalez Urrutia) e chiedendo una soluzione negoziata alla crisi che passi ovviamente per la pubblicazione degli atti elettorali. Tanto Petro così come Lula devono rispondere a questioni interne, nelle quali parte dei movimenti di sinistra che li hanno portati al governo sono vincolati in modo permanente all’ideologia antimperialista, una sinistra giurassica (come la definì il venezuelano Teodoro Petkoff) incapace di aprire gli occhi di fronte alla realtà, professando una fedeltà a una visione superata della storia.
Dall’altro lato l’opposizione, dopo anni di fratture e scontri personali, si stringe oggi intorno a Edmundo e Maria Corina, ricevendo appoggio da un universo variegato di formazioni politiche e governi, tra i quali in Spagna per esempio si annoverano il Partito Popolare e Vox. Ieri infatti nella manifestazione della piazza del Callao (Madrid), molto meno partecipata rispetto alle precedenti realizzate a Colón e Sol, era presente (e in prima linea) Cayetana Álvarez de Toledo, Viceportavoce del Gruppo parlamentare popolare al Congresso dei Deputati spagnolo. Gli interessi di chi oggi appoggia il cambio in Venezuela sono molteplici ma una questione su tutte preoccupa la comunità internazionale: un nuovo esodo migratorio (già iniziato in questi giorni) sarebbe devastante per la regione latinoamericana.
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