I volti scompigliati di Giordano Floreancig, artista energico e pittore del vento
Giordano Floreancig: scherzare sui nomi e sui cognomi è un’abitudine da scuole elementari, ma con Giordano Floreancig pittore è inevitabile, anche sull’orlo della vecchiaia, e del resto il latino che qualcuno ancora studia ci insegna che “nomen omen”.
Perché Giordano, in fondo, significa “fluire” e il colore, nei quadri di Floreancig, sembra un torrente.
Perché Giordano è il fiume – ci sono stato e, come spesso accade, è molto più piccolo di quanto ci si aspetti – in cui venne battezzato Gesù, che scorre per buona parte sotto il livello del mare, fino a sfociare nel mar Morto.
Un fiume bizzarro, come un nostro fiume carsico scoperchiato, e strano di carattere perché impetuoso e torrentizio all’esordio, diventa poi placido come un vecchio, e muore in un mare già morto.
Bene, Giordano Floreancig è un pittore strano, più di quanto non lo siano per definizione i pittori: è esuberante, teatrale, torrentizio nelle sue opere, e laconico e quasi muto nel raccontarle. Bisogna poi accostare il cognome. Per un udinese Floreàn è, inevitabilmente, la statua non bellissima che sta sull’orlo del terrapieno di piazza Libertà, in compagnia di Venturin.
Sappiamo tutti che Florean è Ercole, l’eroe nobile, e Venturin è l’eroe bullo e furbastro, che ruba la mandria a Ercole facendola camminare all’indietro, per confonderne le tracce: in tribunale, un abigeato.
E Floreancig ha qualcosa di erculeo, in come tratta le tele – diciamo che non lavora in punta di pennello – e in come incorpora se stesso: è un omone allegro e generoso, non un artista emaciato e sofferente.
In più quelle due statue sono profughe. Stavano in un palazzo nobiliare in quella che oggi è piazza XX Settembre, raso al suolo per ordine di Venezia, e adesso abbiamo una piazza per Friuli Doc e mercatini e due statue avanzate, come tessere di un puzzle che bisogna pur mettere in qualche posto.
Non erano impegnativi – essendo Ercole e Caco figure mitologiche ma non re e dittatori – sono sopravvissuti ai tempi che cambiano e stanno ancora in piazza Libertà, profughi integrati. E Floreancig Giordano è una specie di profugo, come si intuisce da quella “g” finale, che dà un tocco slavo al suo cognome. Giordano è nato a Raune, comune di Stregna, Valli del Natisone.
È andato a scuola poco e male, e nelle colonie estive faticava a parlare in italiano: solo una certa abilità da contrabbandiere gli ha evitato le scuole speciali del tempo.
È rimasto, anche quando veste gli abiti e le suppellettili dell’artista, il bambino scalzo delle Valli che ancora non erano un luogo da riscoprire, ancora non erano la bellezza della natura, che ancora non erano isole di cultura da preservare: erano un posto bellissimo e dimenticato, povero da patir la fame, un posto da cui scappare.
Floreancig è scappato, ma non si è fatto ammaestrare, e come artista è stata la sua fortuna: non lo puoi rimandare a nessuna scuola, né trovargli parentele artistiche. Parla, silenzioso, una lingua tutta sua, come certi vecchi indigeni che sopravvivono alla scomparsa della tribù, e borbottano tra se stessi una lingua dimenticata.
Certe volte – e questa è un’altra fortuna – non si prende troppo sul serio: ti avverte che ci vorranno almeno due anni perché il quadro si asciughi del tutto, come se il colore fosse alluvionale, ti mostra uno studio che è stato distilleria, e ha qualcosa del circo, del colore del circo, del domatore di colori e delle belve da circo che entrano docili nei quadri, sotto forma di volti – ma viene da dire il meno elegante facce – scompigliate dal vento, e come belve pazienti da circo ti lanciano un’ultima occhiata, non sai se implorante o minacciosa.
A questo punto è fin troppo facile dire che il Museo della Bora di Trieste dovrebbe mettere un quadro di Floreancig come insegna, la bora né bianca né nera, ma colorata di un artista che conserva la forza e l’energia di un monello delle Valli.
In attesa che il Museo della Bora se ne accorga, potrete vedere i lavori di Floreancig a fine settembre nella Repubblica Ceca, nella galleria Kaple a Vallasskè Mezirici. Complicato andarci, certo, anche se io ci andrei per vedere le facce dei visitatori, e imparare ancora una volta che il linguaggio dell’arte è il più formidabile dei dizionari.
Ma, volendo, si può restare più vicini, perché Floreancig torna in Friuli, dopo la personale della chiesa di San Francesco a Udine. Sarà a Lestans, a due passi dal paese di un vero Ercole, Primo Carnera da Sequals.
Sono in pochi ormai a ricordare che Lestans fu teatro di una lotta per evitare l’insediamento minaccioso di un cementificio con la sua grande ciminiera e il pennacchio insalubre: il pittore del vento che sgombera cieli sarà benvenuto.
Inaugura il 6 settembre, e la mostra è visitabile nei pomeriggi di fine settimana. La novità di questo evento è che ci saranno le ovaline, cornici dorate a ingentilire come fossero cammei i volti scompigliati della sparsa umanità di Floreancig, che in una foto sembra Paperon de Paperoni davanti alla sua piscina di monete d’oro, e invece sono solo quadri ovali, usciti dalla slot machine miracolosa delle invenzioni.
Un rovesciamento del destino, come uno zingaro in smoking, o un pugile con tutù da ballerina. Ma c’era da aspettarselo, da uno che ha fatto del rapporto tra arte, libertà e follia una delle sue chiavi di casa. A proposito: lo rivedremo in qualche posto nella Gorizia capitale europea della cultura, insieme con Nova Gorica nel 2025.
Franco Basaglia ne sarebbe felice. Nulla è come appare, in fondo: sapete bene che Ercole, in realtà, aveva a sua volta rubato la mandria a Gerione.