Inchiesta falsi vaccini a Treviso, il legale dell’infermiera: «Non ci sono prove»
«Senza la consulenza tecnica sui batuffoli di cotone sequestrati dalla polizia il giorno del blitz al centro vaccinale di Villorba è francamente impossibile provare che la mia assistita non abbia inoculato affatto o solo in parte il vaccino agli utenti. L’accusa dice chiaramente questo ossia che la Venzo si sarebbe sbarazzata del siero iniettandolo nei batuffoli di cotone. Ma se da una parte il frigorifero che conteneva i reperti è andato in tilt ed li ha resi inutilizzabili e dall’altra il professor Crisanti ha rinunciato alla consulenza tecnica per motivi istituzionali non so come si possano provare le accuse, senza entrare nel merito di altre questioni».
A parlare è l’avvocato Stefania Bertoldi, il legale che difende l’infermiera Elena Venzo, 51 anni, all’epoca in servizio all’hub dell’ex Maber di Villorba, accusata di aver finto di inoculare il vaccino o di averlo inoculato solo in parte a suoi conoscenti, attestando poi l’avvenuta vaccinazione nell’apposito certificato. Con lei sono indagate altre otto persone, tutti suoi conoscenti. Il legale è convinto che Venzo sia innocente e che nel corso del processo emergerà la verità.
Le accuse contro Elena Venzo
Due le accuse che la procura contesta all’infermiera e agli altri otto indagati in concorso: falso ideologico per aver sottoscritto i certificati in cui attestava la somministrazione del vaccino e omissione in atti d’ufficio per aver redatto i certificati di avvenuta vaccinazione, formando falsi certificati vaccinali e trasmettendoli al Servizio sanitario nazionale, inducendo così in errore il Ministero della Salute, che rilasciava così il green pass ai pazienti, presunti complici della Venzo.
Il blitz al centro vaccinale
La svolta nell’inchiesta risale al pomeriggio del 2 settembre 2021, quando gli uomini della squadra Mobile effettuarono un blitz al centro vaccini di Villorba, l’hub che l’Ulss2 aveva creato all’ex Maber, mentre l’infermiera era in servizio. Gli agenti da tempo avevano il fiato sul collo della professionista, probabilmente dopo aver ricevuto una “soffiata” da parte di qualcuno che era a conoscenza, o quanto meno sospettava la cosa.
Tra i primi a notare qualche anomalia nel suo comportamento era stato il coordinatore del Vax point dell’ex Maber. Si era accorto che la professionista, da oltre vent’anni dipendente stimata dell’Ulss 2, mostrava con alcuni utenti degli atteggiamenti sospetti. Sceglieva sempre la postazione più periferica, quella in fondo, la più lontana dalla sala d’aspetto. Sguardi d’intesa e soprattutto strani movimenti di alcuni pazienti che si scambiavano di fila, dirigendosi verso la sua postazione.
Comportamenti sospetti
A quel punto, uno strano confabulare e una serie di operazioni insolite al momento dell’inoculazione, pur di evitare la somministrazione in tutto o in parte della dose di anti-Covid, avevano destato sospetti tra i colleghi e coordinatori. L’indagine ha portato alla luce un caso che ora dovrà essere approfondito nel corso del processo.