Matisse, suggestioni mediterranee
Dopo Kandinsky e Chagall, il Centro Culturale Candiani a Mestre apre le porte a un altro maestro delle avanguardie del ’900, Henry Matisse, in una mostra dedicata a “Matisse e la luce del Mediterraneo”, che, inaugurata venerdì scorso, resterà aperta fino al 4 marzo 2025. Un viaggio nei capolavori e nei luoghi che hanno ispirato Matisse, tra le luminose atmosfere mediterranee, punti geografici e dell’anima, sfondi di vicende artistiche fondamentali.
«L’idea della mostra nasce da due suggestioni», ha ricordato la curatrice Elisabetta Barisoni, «la nota definizione dello storico dell’arte André Chastel che vide nel Midi, il sud della Francia, un grande atelier dell’arte moderna e la definizione di Guy de Maupassant che nel 1885 definì il Mediterraneo un giardino di incomparabile bellezza». Partendo da questo assunto, la mostra si snoda attraverso 52 opere, gran parte delle quali provenienti dalle collezioni civiche, in particolare Ca’ Pesaro, ma anche con prestiti internazionali importanti, tra i quali spicca almeno la splendida “Odalisca gialla” del Museum of Art di Filadelfia, che hanno portato a un costo complessivo, confermato dal sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, di circa 400 mila euro. È dunque nel Midi che, tra Otto e Novecento, si sviluppa questa straordinaria scuola di pittura che ha nel mare la fonte di ispirazione primaria, in particolare il Mediterraneo, capace di plasmare e infondere negli artisti, con la sua luce e bellezza, un nuovo linguaggio artistico.
“La modernità viene dal mare” ricorda con ironia una delle prime sezioni, con le vedute di diversa concezione luministica, di Eugène Boudin (sul porto di Anversa), Maximilen Luce (Rotterdam), Théo van Rysselbergher e soprattutto Charles Cottet, capace di passare da uragani ventosi a notturni e tramonti chiaroscurati. Poi Matisse, che alla pittura arriva relativamente tardi, a 22 anni, allievo di Gustave Moreau, raggiungendo il sud nel 1898, a quasi trent’anni, quando dipinge il celebre “albero”. Una luce e una normalità che esprimerà anche nella “finestra aperta” del 1919, quando, dopo la prima guerra mondiale, il pittore come altri colleghi cerca di trasmettere pace e serenità con le proprie opere.
Un ideale ampio e condiviso, come dimostra “il grande paesaggio” di Filippo de Pisis (1948) che troneggia in apertura. Così pian piano Matisse trova tra Collioure, Saint-Tropez e Nizza i luoghi dove creare i suoi capolavori, mentre André Derain qui trova spazio per la diffusione del fauvismo e Maurice de Vlaminck pone le basi per una successiva evoluzione espressionista. Ma questa nuova forza spirituale e artistica del Mediterraneo rimanda anche all’umanesimo e alla cultura delle civiltà classiche del mare nostrum. Ecco allora la ricerca dell’armonia e della corporeità che si scandisce attraverso “lusso, calma e voluttà” della fase delle odalische – in particolare la “gialla” di Filadelfia – e delle ragazze in interni, che Matisse dipinge negli anni Venti e Trenta. Ma la cultura del Mediterraneo è alla base anche degli arabeschi del muranese Vittorio Zecchin, un mondo fatto di Salomè, di matrone, di re magi, grafite su carta del primo dopoguerra. Passando attraverso un corridoio azzurro che ricorda la “Rapsodia in blu” di George Gershwin, le cui note riecheggiano nelle ultime stanze, tracciando un parallelo tra la sua rivoluzione musicale e quella pittorica di Matisse, l’esposizione si conclude passando “dal colore alla forma”, in cui a fianco dell’Icaro di Matisse, vi sono opere di Alberto Gianquinto, Renato Borsato, Paolo Scarpa, Saverio Barbaro a dare un tocco di venezianità, a fianco di un’attrice multidisciplinare come Marinella Senatore, che con “Make It Shine” (2021), un collage di frasi, memorie, immagini, in una sorta di trascrizione pittorica tra diversi media, contenuta nella recente donazione Gemma De Angelis Testa.