Rigori e polemiche: tutti contro arbitri e Var (ma sbagliano i giocatori)
Nove rigori in dieci partite e il paradosso è che c'erano tutti. Molti discutibili per chi ha in testa ancora il vecchio calcio, quello sport di contatto in cui non era sufficiente uno strofinamento piede su piede per andare al dischetto. Eppure arbitri e Var (più i secondi dei primi) hanno sbagliato poco nella giornata numero 7 di un campionato che vive già le prime, intense, polemiche arbitrali. Anzi, a ben vedere i penalty avrebbero dovuto essere uno in più (10) aggiungendo all'elenco quello provocato dall'intervento fuori controllo del difensore del Monza Kyriakopoulos sul romanista Baldanzi. La Penna in campo non lo ha concesso ("Niente, niente!" ha urlato ai giocatori) e il Var Aureliano si è adeguato considerandolo un normale contrasto di gioco.
La Roma si è infuriata e certamente non ha rasserenato la spiegazione dei vertici dell'AIA che hanno promosso la scelta di campo, provando ad erigere un argine contro il dilagare degli "step on foot" da rigore: ""Perché lo siano riteniamo che debbano essere chiari, da cartellino giallo per imprudenza" ha detto Andrea Gervasoni in tv a DAZN per tentare di placare le polemiche.
In ogni caso la sosta arriva benedetta per gli arbitri perché aiuterà a fare sintesi in vista di un ritorno in campo che da fine ottobre a metà novembre prevede, nell'ordine, Inter-Juventus, Milan-Napoli, Inter-Napoli e Milan-Juventus. Calendario da paura immaginando di proiettare quanto visto fin qui anche sui big match che cominceranno a delineare davvero la corsa scudetto.
Nel mirino finiscono arbitri e Var, ma la verità è che nell'era del calcio giudicato allo schermo anche un contatto minimo diventa da rigore, soprattutto se codificato senza quasi margini interpretativi per i direttori di gara. Non piace a nessuno e lo sfogo dell'allenatore del Milan, Paulo Fonseca, dopo la sconfitta a Firenze è condiviso da molti: "Non voglio dire niente. Io che amo il calcio non voglio contribuire a questo circo. Ogni minimo contatto è rigore, e non parlo di cose contro o a favore, ma il calcio non è così". Così è, invece, il protocollo con le linee guida imposte da Ifab, Fifa e Uefa.
Il problema è che l'onda di una giornata da 9 rigori assegnati sarà lunga perché nella testa di tifosi, arbitri e addetti ai lavori rimarrà il segno di dove sia stata posta l'asticella per la concessione o meno della massima punizione. Accadde anche un anno fa dopo le 8 del 22° turno e il designatore Rocchi sa bene che servirà un paziente lavoro di reset per riallineare la Serie A al resto d'Europa.
C'era riuscito nelle ultime due annate, adesso l'obiettivo sembra lontanissimo. Nelle prime 70 partite sono stati fischiati 32 rigori con una media di 0,45 che porta la proiezione a fine stagione a oltre 170. Un'enormità non sostenibile. Nel 2023/2024 sono stati 131 (0,34) e già erano di più rispetto al 2022/2023 (106 media 0,28). Si dice spesso che il resto d'Europa ha abitudini differenti rispetto a quelle italiane, ma è vero solo in parte. L'anno scorso in Champions League la media rigori è stata di 0,31 e al di sotto sono andate solo Liga e Premier League con 0,28.
L'anomalia, insomma, è questo inizio choc che ha moltiplicato i viaggi dal dischetto. Gli arbitri proveranno a stringere un po' i bulloni dell'interpretazione dei contatti bassi (piede su piede) o dei falli di mano, ma uno sforzo dovranno farlo anche i calciatori perché alla fine dei 9 rigori concessi nell'ultimo turno è difficile trovare qualcosa per cui scandalizzarsi. Anzi. La grande polemica è nata soprattutto su quello non dato. Tradotto: nel calcio in cui sono i dettagli a fare spesso la differenza non è possibile che si trascurino prudenza e attenzione quando si interviene in quella gioielleria rappresentata dall'area di rigore. Dove basta un decimo di secondo di ritardo o la sottovalutazione delle possibili conseguenze per creare i presupposti per un penalty.