Afghanistan, i Talebani ritornano alle origini. Vietato pubblicare immagini di esseri viventi sui media: “Contrarie alla legge islamica”
In Afghanistan sarà vietato per i media locali pubblicare immagini di esseri viventi. Proprio come nel 1996. Lo ha annunciato il portavoce del Ministero per la Promozione delle Virtù e la Prevenzione del Vizio, Saiful Islam Khyber. La nuova misura, ha fatto sapere il Ministero, sarà introdotta in tutto il Paese gradualmente, ma “non c’è posto per la coercizione nella sua implementazione”, ha aggiunto facendo notare che dovranno essere le autorità talebane a “convincere i cittadini” che pubblicare immagini di esseri viventi è contrario all’Islam. L’ultima affermazione fatta dal ministro, secondo cui non sarà necessario l’uso della violenza, vuol trasmettere una certa clemenza da parte dei Talebani ma la realtà è ben diversa. Secondo quanto riportato da Adnkronos, nella provincia di Ghazni, alcuni funzionari del ministero hanno già convocato i giornalisti locali per metterli al corrente della decisione e hanno consigliato ai fotoreporter di scattare foto da più lontano e di filmare meno eventi “per prendere l’abitudine”. L’implementazione della nuova norma è iniziata nella “roccaforte talebana meridionale di Kandahar e nella vicina provincia di Helmand e procederà gradualmente”, ha concluso Khyber. Ma, nonostante la dichiarazione, molti giornalisti della zona hanno riferito di non aver ricevuto alcuna comunicazione a riguardo.
Il nuovo provvedimento si colloca nel quadro della nuova legge sui media redatta affinché essi si conformino e non contraddicano in alcun caso la Sharia – ovvero la legge islamica – che è in vigore nel Paese. Il testo, che ha lo scopo dichiarato di “combattere il vizio e promuovere la virtù” è composto, come riporta Associated Press che ha potuto visionarlo, da 114 pagine e 35 articoli riguardanti aspetti della vita quotidiana come i trasporti pubblici, la musica e le celebrazioni.
Durante il primo regime talebano, durato dal 1996 sino al 2001, venne imposto il divieto di pubblicare immagini che ritraessero esseri viventi. L’imposizione ha le sue radici in un principio religioso islamico denominato aniconismo. Generalmente associato al mondo dell’arte, sulla base di tale principio è considerato haram, ossia vietato, rappresentare Dio. Quindi il principio alla base della decisione dei Talebani è questo: creare e pubblicare immagini rende gli uomini degli idolatri, dei politeisti. L’idolatria secondo l’interpretazione più radicale della dottrina islamica costituisce il primo peccato dell’uomo. Nel testo sacro del Corano, però, non è espresso alcun divieto esplicito al riguardo. Il divieto di adorare divinità all’infuori di Dio nella rigida visione wahhabita – quella su cui si basa l’interpretazione talebana – si affianca al principio che proibisce ogni forma di culto rivolta a figure umane. In ragione di questo, per esempio, furono proprio i Talebani a causare una delle perdite artistico-culturali più gravi dal secondo Dopoguerra: la distruzione dei Buddha di Bamiyan del VI secolo.
A tre anni dal loro insediamento al potere, la situazione in cui versa il Paese sembra peggiorare di mese in mese. Ad oggi, nonostante l’Emirato islamico non sia formalmente riconosciuto, la normalizzazione dei rapporti con attori regionali e internazionali sta permettendo agli esponenti politici talebani di consolidare politiche sempre più stringenti che rafforzano il regime autoritario. Il Paese sta inoltre attraversando una delle crisi umanitarie più intense degli ultimi anni. Ha un’economia fragile e a livello sociale, la discriminazione di genere è ormai istituzionalizzata. Ogni possibilità di opposizione da parte dei più moderati, aperti verso un dialogo con l’Occidente, appare sfumata. Sin dal suo insediamento, l’attuale Guida Suprema dell’Afghanistan, l’Amir ul-muminin Haibatullah Akhundzada, ha predisposto un controllo capillare sulla popolazione civile e questo ha contribuito a limitare e danneggiare i diritti e le libertà fondamentali riconosciuti dai trattati internazionali.
Secondo quanto riportato da ISPI, un report redatto da Unama – la missione delle Nazioni Unite in Afghanistan – intitolato De Facto Authorities Moral Oversight in Afghanistan Impacts on Human Rights, nel periodo compreso tra il luglio del 2021 e il marzo del 2024 sono stati registrati almeno “1.033 casi documentati di applicazione della forza e violazione delle libertà personali, con danni fisici e mentali, con un impatto discriminatorio sulle donne, contribuendo a creare un clima di paura”.
Ad oggi, nella classifica sulla libertà di stampa stilata da Reporter senza frontiere, l’Afghanistan è al 178esimo posto su 180. Quando i Talebani hanno ripreso il controllo del Paese, l’Afghanistan contava 8.400 lavoratori nei media. Oggi sono solo 5.100, tra cui 560 donne. La stretta annunciata dai Talebani va a sommarsi a una serie di limitazioni introdotte nel corso degli ultimi mesi. Solo qualche settimana fa, per esempio, è arrivato l’annuncio di una nuova legge che ha imposto alle donne il divieto di parlare in pubblico perché non solo il corpo, ma anche la voce femminile deve essere considerata come qualcosa di intimo e, per questo, non rivelata agli estranei. E ancora, la messa al bando delle arti marziali perché ritenute troppo violente e non conformi ai precetti islamici o il divieto della riproduzione musicale.
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