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Октябрь
2024

Apidolomiti, il miele bellunese tra crisi produttiva e nuove opportunità

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Produzioni di miele a picco, ma anche nuove e di qualità. Se è vero che le api sono le sentinelle più attendibili del cambiamento climatico, il miele bellunese sta vivendo un momento di grandi incertezze, dal quale però è possibile anche trarre insegnamenti e nuove idee per il futuro. Luca Stefani, presidente di Apidolomiti, ci aiuta a tracciare un quadro della situazione degli apicoltori locali, che si avviano tra l’altro verso il traguardo dei primi cinquant’anni di storia della loro cooperativa.
«Questo per noi è il quinto anno di fila con una produzione di miele bassissima», spiega, «si può stimare che anche il 2024 vedrà un calo generale, con punte fino all’80%. Con il cambiamento climatico assistiamo a inverni prolungati anche nei mesi tipicamente primaverili, con lunghi periodi di pioggia seguiti da estati siccitose e torride. Questo rovina inevitabilemente le fioriture anticipate della Valbelluna».
A stare meglio sono le produzioni in alta quota: «Anche in passato abbiamo visto un buon andamento nelle produzioni tra gli 800 e i 1000 metri d’altitudine», continua Stefani, «in Agordino o in Cadore, ad esempio, la fioritura delle stesse specie della parte bassa della provincia sono più ritardate e possono godere di climi migliori».
A questo si aggiungono anche nuovi tipi di produzione, favoriti addirittura da Vaia: «Dopo la caduta di tanti alberi, abbiamo un sottobosco molto più vivo e questo ci porta a raccogliere nuove qualità di miele. Penso, ad esempio, a quello ricavato dal nettare dei tantissimi fiori di lampone presenti oggi. Il miele di lampone è un prodotto molto particolare, ottimo di sapore e molto apprezzato dai clienti».
Da quasi cinquant’anni, come detto, il territorio può contare sul valore aggiunto della cooperativa Apidolomiti, che raggruppa tanti piccoli produttori che non devono temere la presenza di colossi del miele presenti in zona: «Oggi siamo in circa 600 produttori e abbiamo adottato la tracciabilità al 100% del prodotto», continua Stefani, «non facciamo miscele di mieli e quindi dal numero dei vari lotti possiamo risalire esattamente all’apiario dal quale arriva il vasetto che il cliente ha tra le mani».

Ma un apicoltore bellunese può vivere della sola produzione di miele? «L’apicoltura oggi è quasi sempre integrativa di altre attività», spiega il presidente, «per dare un’idea, un apiario dovrebbe contare almeno 500 famiglie per garantire un’entrata sufficiente, ma i nostri soci medio-grossi arrivano ad averne circa un centinaio».
Servirebbero fondi per la promozione di questo prodotto: «Nell’ultimo anno abbiamo puntato molto sul nostro DOP Miele delle Dolomiti bellunesi, una delle uniche tre in Italia, che raccoglie esclusivamente il miele prodotto in provincia. Sarebbe importante un maggior sostegno per poter promuovere questo marchio. Ci è già stata data una buona visibilità durante alcuni eventi, ma sarebbe bene avere qualche fondo ad hoc per supportare questa nostra eccellenza».
La vita degli apicoltori bellunesi è cambiata molto in questi cinquant’anni, ma, a sorpresa, un tempo era più facile portare a casa una produzione più soddisfacente: «Sicuramente gli strumenti e le tecnologie sono migliorati, ma prima la stagionalità semplificava molto la vita», commenta Stefani, «fino agli anni Ottanta le stagioni erano ben definite e anche il ciclo vitale delle api era più chiaro. Si sono aggiunti, poi, problemi di tipo veterinario, con l’arrivo della Varroa, un acaro che attacca le famiglie, e ora il cambiamento climatico si comincia a sentire forte e ogni anno la produzione cambia e non è prevedibile.

A questo si aggiungono le difficoltà tipiche del mestiere, non ultimo l’orso, che anche quest’estate ha fatto parlare di sé per le sue scorribande tra le arnie in provincia: «Se si calcola il valore di una casetta in legno, delle api, della mancata produzione e di tutti gli accorgimenti che si prendono per permettere alle famiglie di sopravvivere, ogni casetta distrutta costa almeno 500 euro. Se un orso si accanisce già contro una decina di queste strutture il danno comincia a essere importante. E ovviamente non c’è solo l’orso come insidia alla produzione di miele».
C’è infatti il fattore montagna che, come in tutte le cose, incide sulla difficoltà di ottenere risultati soddisfacenti: «Se in pianura veneta o in Emilia riescono a produrre in una stagione dai 50 ai 100 chili di miele per arnia, noi ci fermiamo a 15-20», conclude il presidente di Apidolomiti, «nonostante questo, il nostro prodotto comincia a essere conosciuto proprio grazie al DOP e abbiamo cominciato a promuovere il miele bellunese anche fuori provincia, con alcune catene che ci hanno coinvolto in progetti che ci portano a rifornire una ventina di punti vendita non bellunesi. Diciamo che come cooperativa veicoliamo una sessantina di quintali di miele l’anno e di questi una decina viene dedicata al mercato fuori provincia».
Una lunga storia, che gli apicoltori bellunesi si preparano già a festeggiare il prossimo anno: «Stiamo già lavorando per il 50°», conferma il presidente Stefani, «ci saranno sicuramente dei convegni e porteremo in giro la mostra che abbiamo presentato alla festa del miele di Limana, ma non mancherà una giornata di festa nella nostra sede di Villa di Limana»




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