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Ноябрь
2024

La diplomazia scientifica della Cina nuova protagonista della ricerca globale

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Sono stato in Cina la scorsa settimana, a Chendgu. Con una delegazione del King’s College London siamo stati invitati a firmare un accordo di collaborazione con la Sichuan University e la West China School of Medicine, una delle facoltà di medicina più prestigiose del paese. Sono stato in Cina molte volte negli ultimi 25 anni, e ad ogni visita ne rimango sempre più impressionato. Chengdu è una delle città più grandi della Cina, oltre 20 milioni di abitanti, nel sud-ovest del paese. Sono sparite le maree di biciclette che popolavano le strade delle città cinesi solo 20 anni fa, sostituite da un parco di automobili nuovissime.

Il traffico è congestionato. Le strade principali della città sono a 8 corsie, mantenute in maniera impeccabile. Sono spuntati grattacieli dappertutto, molti ospitano alberghi a 5 stelle. I distretti commerciali hanno negozi (anche di lusso) che tengono aperto fino a notte. I ristoranti sono gremiti di turisti, prevalentemente cinesi. La barriera linguistica è ancora importante, ma molto meno nelle giovani generazioni, che ormai iniziano a parlare bene l’inglese.

La West China School of Medicine della Sichuan University ha una tradizione storica. Come molte altre università in Cina, è stata fondata da un gruppo di missionari dagli Stati Uniti, Regno Unito e Canada alla fine del 1800. Inizialmente un’università privata, è diventata pubblica dopo la fondazione della Repubblica Popolare Cinese all’inizio degli anni ’50.

La Scuola di Medicina è stabilmente tra le prime 100 università al mondo nel ranking della Times Higher Education (uno degli enti più accreditati che certificano la qualità delle università) nei parametri relativi alla salute e all’attività clinica (nel 2024, al posto numero 56 al mondo; per paragone, la prima università italiana nello stesso settore è l’Università di Bologna, in posizione 101-125; il King’s College London è al numero 13).

Nelle classifiche di performance in Cina, il West China Hospital, il principale di quelli associati alla Scuola di Medicina, in pieno centro a Chengdu, è stabilmente al secondo posto (dopo Pechino) su circa 10 mila ospedali nel paese.

Ha 36 dipartimenti clinici con 4300 posti letto per 173 mila pazienti all’anno. Sempre ogni anno, esegue quasi 100 mila interventi chirurgici e visita più di 3,5 milioni di pazienti ambulatoriali. Quello firmato ora con il King’s College è soltanto l’ultimo di una serie di accordi con istituzioni accademiche e cliniche internazionali: secondo quanto abbiamo appreso a Chengdu, la West China School of Medicine ha già collaborazioni con 150 università da 43 paesi, tra cui Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Australia, Giappone e diversi paesi europei. Oltre al King’s, spiccano gli accordi con Università di Washington, UCLA e Università di Oxford.

Perché un’Università e una Scuola di Medicina di questa portata e impatto in Cina è interessata a finanziare direttamente progetti collaborativi con università di spicco a livello internazionale? Molto semplicemente, per una questione di prestigio.

La Cina è cresciuta a dismisura in ambito scientifico e tecnologico negli ultimi 2 decenni, compreso nel settore delle scienze della vita e della medicina. Il numero di pubblicazioni scientifiche complessive ha ormai sorpassato 3.3 milioni di articoli per anno. Di questi, più della metà vengono soltanto da 6 paesi (Cina, Stati Uniti, India, Germania, Regno Unito e Giappone).

Negli ultimi 15 anni la Cina ha quasi raddoppiato (43% in più) il proprio numero di pubblicazioni, diventando il primo paese in termini assoluti e quasi doppiando il secondo paese, nientemeno che gli Stati Uniti. Questo risultato è stato soprattutto grazie a una pressione enorme che viene posta sui giovani ricercatori che vogliono ottenere un dottorato (servono almeno 3 articoli pubblicati in soli 3 anni per conseguire il titolo; sempre per paragone, nelle università inglesi non è richiesto nemmeno un articolo, ma viene valutata la maturità scientifica del candidato).

Se ha aumentato l’output scientifico del paese, questa pressione però sta avendo un risvolto molto negativo: nel 2023, sono state ben 14 mila le pubblicazioni scientifiche complessive di cui le riviste scientifiche hanno forzato la ritrattazione per dati copiati o fraudolenti. Di queste, tre quarti sono state a firma di almeno un autore cinese, tanto che il governo cinese stesso è dovuto entrare in campo quest’anno per imporre più vigilanza sulla frode da parte delle università del paese.

Ecco allora che la partnership con prestigiose università internazionali diventa, per le università cinesi, uno strumento importante per consentire loro di aumentare il proprio prestigio ed il proprio outlook mondiale. Sarà interessante vedere se questa politica di utilizzare gli accordi scientifici quale strumento di credibilità internazionale alla fine pagherà.

Funzioni o no, comunque fa riflettere come la diplomazia del ping-pong, che aveva disteso i rapporti tra Cina e Stati Uniti ai tempi di Nixon negli anni ’70, sia oggi sostituita da questa nuova diplomazia basata sull’educazione avanzata e sulla ricerca scientifica e tecnologica. —




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