Autonomia differenziata: Calderoli vede il bicchiere mezzo pieno, ma fa orecchie da mercante
“Non ha senso parlare di vincitori o di vinti. La Consulta ha sancito che l’Autonomia è costituzionale, questa è una rivoluzione copernicana per il sistema italiano”. Lo afferma il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli, in un’intervista al Corriere della Sera, dopo che la Consulta ha dichiarato la costituzionalità dell’Autonomia Differenziata, ma ha ritenuto illegittime alcune disposizioni. “La gran parte dei rilievi mossi possono essere agevolmente superati”, ha dichiarato ancora. Il Ministro ha inoltre ribadito che l’iter legislativo non subirà ritardi e che le intese con le Regioni terranno conto delle prescrizioni della Corte. “A sinistra si rassegnino, la battaglia è persa”, ha concluso Calderoli. Quel che si dice vedere il bicchiere mezzo pieno…
Non so se ascrivibili alla voce “a sinistra”, ma questo il parere di due costituzionalisti: Michele Ainis (“La Consulta ha trasformato la legge Calderoli in uno zombie”) e Gaetano Azzariti – presidente dell’associazione “Salviamo la Costituzione” che, proprio il 13 novembre, ha organizzato un convegno di costituzionalisti sull’ammissibilità del quesito referendario (“E’ stata bocciata la competizione tra Regioni. Una legge inapplicabile”); due voci tra quelle di moltissimi altri studiosi, che si sono pronunciati sottolineando piuttosto concordemente che l’intervento della Corte comporta – anche per l’entità dei rilievi – un radicale cambiamento dello scenario.
Quello di ieri è un comunicato stampa; per la sentenza completa occorrerà attendere diversi giorni. Ferma restando la necessaria cautela in un passaggio così delicato e l’obbligatorietà – per esprimere giudizi definitivi – di leggere la pronuncia nella sua interezza, si può osservare che si tratta di un comunicato corposo, da cui si evince che la Corte ha ravvisato incostituzionale la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione trasferisca materie o ambiti di materie, laddove invece la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare esclusivamente specifiche funzioni legislative e amministrative e che il trasferimento debba essere giustificato, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà.
Ciò significa che non possono trasferirsi intere materie (per esempio istruzione, sanità, ambiente, infrastrutture, sicurezza sul lavoro…) e che possono trasferirsi solo specifiche funzioni legislative o amministrative; ma che ciò, in ogni caso, deve avere una specifica giustificazione (“dimostrazione”, “motivazione”, nda) in base al principio di sussidiarietà (come le necessità locali, dimostrazione che solo a livello locale si può svolgere meglio una funzione in via esclusiva, ecc). Un principio chiaro, rispetto al quale qualsiasi correzione della legge che non ottemperi ad esso sarà costituzionalmente illegittima.
Si riorienta poi la norma sulla base della ribadita centralità del Parlamento (un passaggio molto importante) rispetto alla stipula delle intese governo/regione. Le regioni a statuto speciale, a differenza di quanto affermato dalla legge, non potranno essere della partita, perché dotate di statuti propri.
Da questi e altri punti di vista, credo di poter dire che il Parlamento sarà chiamato a ridisegnare una legge ribaltando completamente la ratio che caratterizza la legge 86/24. Le stesse preintese del 2018-19, inaugurate dal governo Gentiloni con Maroni, Zaia e Bonaccini (presidenti di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) non possono più essere considerate operative, come invece afferma la legge Calderoli. Una rivoluzione copernicana, sì; ma non favorevole alla logica che ha guidato il ministro fino ad oggi.
Alle domande di Zapperi sul Corriere, Calderoli risponde ostentando la sicurezza di chi – misteriosamente e contraddittoriamente – dai rilievi della Corte trovi la conferma delle proprie convinzioni. La risposa che più impressiona, però, è la seguente. Alla domanda: “Ma il Parlamento è obbligato a conformarsi a quanto stabilito dalla Corte?” il ministro risponde: “In linea di principio sì, ma avete presente le pronunce sulla procreazione assistita o sul fine vita? Finché non si interviene, si procede a legislazione vigente. Lo ricordo: la legge che istituisce l’Autonomia è entrata in vigore e la Corte l’ha considerata costituzionale”.
Dopo essere stato sordo agli inviti della Cei, nonché di istituzioni ed enti prestigiosi (dalla Corte dei Conti, all’Ufficio Parlamentare di Bilancio; dalla Banca d’Italia alle Confindustria del Sud) che lo ammonivano sul pericolo contenuto nella legge; e dopo aver ignorato (se non dileggiato) oltre un milione e 200mila firme raccolte per celebrare il referendum abrogativo, il ministro pare fare orecchie da mercante anche rispetto a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale. Del resto – nella totale opacità delle procedure e senza pubblicare le date degli incontri – la partita dell’attribuzione alle regioni delle materie “non Lep”, a partire dalla protezione civile, procede indisturbata. Non stupisce, considerando che poco tempo fa, rispondendo alla relativa domanda, il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, dichiarava: “Avanti con l’Autonomia differenziata anche a legge abrogata”, mentre – cosa ancora più grave – il parlamentare Valdegamberi, sulla scia della dichiarazione di Zaia, ha aggiunto: “I veneti sono pronti a rompere l’ordine costituzionale se la legge dovesse essere annullata”.
A proposito di referendum: la Cassazione e poi la Consulta dovranno decidere sulla trasferibilità del quesito abrogativo totale sulla ‘nuova’ legge e poi sulla sua ammissibilità. L’iter si allunga, ma siamo certi che le ragioni per celebrare il referendum rimangono valide. Per questo attendiamo fiduciosi – dopo questa pronuncia della Corte che dà in larga parte ragione (nel merito e nel metodo) ai Comitati per il Ritiro di ogni autonomia differenziata, che da sei anni si battono per bloccare la “secessione dei ricchi” – le decisioni delle due Corti. Il nostro sforzo, nella trionfale raccolta di firme portata avanti insieme a Cgil e Uil, nonché ad associazioni come l’Anpi e soggetti attivi nella vita democratica del Paese, è stato chiedere che siano cittadine e cittadini a decidere se la legge Calderoli violi o no gli articoli 2, 3, 5 della Costituzione.
Secondo i Comitati la legge Calderoli viola quegli articoli perché frantuma l’unità e indivisibilità della Repubblica, lede il principio di solidarietà e di uguaglianza dei cittadini, che verrebbero a godere di diritti differenziati secondo il luogo di residenza. A questi principi fa riferimento il testo del comunicato stampa della Corte Costituzionale. Per questo i Comitati sono certi che, anche qualora il Parlamento intervenisse per sanare le illegittimità costituzionali, come richiede la Consulta, il referendum di abrogazione totale sarà ammesso e la legge Calderoli, attraverso il voto referendario, sarà cancellata.
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