L’esordio letterario di Margot Marrone, ecco il suo noir
Più che una storia di migrazioni è una narrazione di trasferimenti, un’alternanza di atmosfere, ecco, di situazioni, di letteratura e di bandiere, persino. Materia ottima per riempire libri, fra l’altro. Margot, che di cognome fa Marrone, è una friulana nonostante sia nata in un paesello bucolico fra Ginevra e Lione.
«Di quelli tipici dove una come Heidi ci vivrebbe volentieri, caprette incluse», aggiunge lei con un sorriso che è il suo naturale accompagnamento al dialogo. «Il papà di Tricesimo conobbe mia mamma in Germania, poi si ritrovarono in Francia, giusto il tempo di far nascere me e mia sorella e, quindi, nuovamente a riempire valigie stavolta utili per un periodo piuttosto lungo in quel di Udine». Margot è una scrittrice. Ora vive in Danimarca con suo marito: lei crea, mentre lui è un formidabile conoscitore/venditore di auto storiche. Il suo primo libro ha prodotto un certa curiosità in città.
«Cinquant’anni di vissuto udinese mi sembrano sufficienti per tessere una solida rete di amici», spiega Margot. La saletta della libreria Tarantola, alla prima udinese di Gli alberi muovono il vento (Noripios), non riuscì a contenere la piccola folla di fan, tant’è che la coda iniziava in via Vittorio Veneto. Un noir ben calibrato sull’attesa.
Una sua, come definirla, alter ego?, tale Marguerite, sceglie la Bretagna per il nuovo corso della vita e, nella casetta ordinata, ospiterà un’amica, la bella Maya, che in poco tempo diventerà l’inquietante Maya, altroché. Davvero un ritmo elevato e un’ottima scrittura.
Orientiamo la bussola per un attimo sul passato.
«Da ragazzina leggevo e leggevo. Mio papà spegneva la luce e io continuavo a sfogliare le pagine sotto le coperte con la pila. Un amore senza fine». È vero che quando arrivò in Friuli non sapeva dell’esistenza di una lingua locale? «Allora proprio no, avevo quattro anni. Ben lo scoprii a sedici quando andai a fare la spesa da sola a Tricesimo e non afferrai nulla di quel che mi dicevano. Oddio, pensai, ma come parlano questi? Adesso qualcosa dico, ma in compenso lo capisco».
Tanti anni dedicati all’insegnamento.
«Diciamo nove di scuola speciale e ventitré d’infanzia». Suo marito l’ha incrociato qui? «Carlo è un altro girovago: in continuo movimento fra Milano, Parigi e Roma, finché pure lui piantò la tenda in Friuli».
Una scelta comune quella di salpare per la Danimarca?
«Nei nostri frequenti viaggi nel Nord Europa cominciammo a sentire aria di casa, sempre di più aria di casa. Così ci innamorammo del loro modo di approcciare con la gente: molto accogliente e per nulla giudicante. La meta di quell’anno sarebbero state le Fiandre, ma accadde un disastro nel Paese e fummo costretti a cambiare meta e finimmo, appunto, in Danimarca. E, devo dirlo, rimasi folgorata dalla luce e dalle serenità di tutti.
E siete partiti…
«Non subito, piano. Prima cercai di superare una brutta depressione e soltanto dopo decidemmo di tentare il grande salto, non senza un bel po’ di ansia. Chiesi e ottenni un anno di aspettativa giusto per capire come sarebbe andata. È andata che non siamo più tornati».
Ci dica Margot, come si sta lassù?
«In Italia lo stress è nell’aria, in Danimarca nemmeno per sogno. Loro lavorano sodo, ma quando suona la campanella si stacca e basta. Non esiste che uno spedisca una mail dopo cena».
Altri pregi?
«La gente rispetta le regole e, soprattutto, la vita familiare. Pensi che i negozi chiudono alle 16.30 e il sabato alle 14. Anche la commessa ha diritto alla sua vita, non le pare?».
Funziona la Monarchia?
«La casa reale è molto amata dal popolo, così come loro cercano di soddisfare i desideri dei danesi. La popolazione va a votare, solitamente la percentuale è superiore al 90 per cento. Quando un delinquente fa il furbo non lo rivedi in giro il giorno dopo, stia certo. C’è molta tolleranza, ma se sbagli, paghi».
Quindi, “Gli alberi muovono il vento” è stato generato lassù?
«Ho trovato una magnifica positività forse spinta dalla forte letteratura noir che è il loro marchio». Una traduzione in danese è prevista? «Ci stiamo lavorando».
Potrebbe diventare una serie, che dice?
«Oddio, magari». Ora su cosa è concentrata? «Sulla storia di una coppia che si odia pur continuando a vivere insieme».