In Ucraina missili e mine anti-uomo minacciano la pace mentre una imbarazzante Ue annaspa
di Pierluigi Franco
In un quadro assolutamente irreale sale la tensione in Ucraina. Da Washington arrivano missili per colpire la Russia e anche le ignobili mine antiuomo, mentre da Mosca si risponde tornando alla minaccia nucleare. E la pace sembra essere sempre più lontana. Difficile comprendere le mosse belliciste sottoscritte dall’uscente Presidente americano Joe Biden, anche se proprio a lui si devono le fiammate sul fronte ucraino fin dal 2013 e 2014 quando era Vicepresidente di Barack Obama e il figlio Hunter faceva affari sul Donbass con gli oligarchi di Kiev. È, dunque, un vecchio e strano legame quello che Biden ha con la terra di Ucraina. Ma resta in ogni caso difficile capire il senso del via libera, in pochi giorni, prima all’uso di missili “Atacms” per attaccare in territorio russo e poi delle micidiali mine antiuomo messe al bando dal Trattato di Ottawa del 1997. Un Trattato non sottoscritto da Usa e Russia, ma firmato nel 1999 dall’Ucraina che, paradossalmente, ne fa richiesta e uso come ha già fatto dal 2014 all’inizio del conflitto in Donbass.
Per molti analisti la decisione di Biden è soprattutto un modo per “minare” il progetto di pace annunciato dal nuovo Presidente, Donald Trump. E questo senza curarsi minimamente dell’aggravarsi della tensione che ha portato Mosca a rivedere la propria dottrina nucleare, come dichiarato senza mezzi termini da Vladimir Putin in risposta ai missili americani sul territorio russo. Probabilmente Biden, o chi per lui, non crede che le minacce di Mosca siano attuabili. Con eccessiva faciloneria si pensa che il Cremlino abbia voglia di bluff. Per questo, evidentemente, Kiev non ha aspettato e, subito dopo il via libera di Biden, ha lanciato sei missili “Atacms” americani e un numero imprecisato di “Storm Shadow” britannici sulle regioni russe di Brjansk e Kursk; missili intercettati e distrutti dai sistemi di difesa russi, anche se in un caso i detriti hanno provocato un incendio in un deposito militare.
Mosca ha presentato subito il conto e, a sua volta, ha lanciato e fatto conoscere al mondo il suo nuovo missile balistico ipersonico battezzato con il curioso nome di “Orešnik” (nocciola), un potente attrezzo bellico che raggiunge la velocità di oltre 13.000 chilometri orari (Mach 11) ed è per questo praticamente impossibile da intercettare. Dotato, per ora, di una carica non atomica, ha raggiunto senza problemi la fabbrica ucraina di veicoli spaziali e razzi della compagnia aerospaziale Pivdenmaš, situata nell’area di Dnipro. Un chiaro avvertimento di Putin, per il quale il permesso dato dagli Usa e dalla Gran Bretagna a Kiev di attaccare in profondità il territorio russo con i missili da loro forniti ha fatto assumere al conflitto un carattere globale.
A sconvolgere maggiormente, in tale quadro inquietante, è l’assoluta incapacità dell’Europa e della politica occidentale in generale a porre freno a questa dissennata corsa alla guerra. Eppure proprio l’Europa è la vittima più illustre di tale situazione di tensione, di cui sta già pagando pesantemente lo scotto economico a causa dell’evidente “effetto boomerang” delle sanzioni che si tenta goffamente di nascondere e del costo del gas salito il 23 novembre, sotto malcelato silenzio, a ben 49,27 euro al megawattora attestandosi ai massimi da un anno. Un danno economico ed energetico che si sarebbe potuto evitare con una buona dose di buonsenso. E va detto con chiarezza che, come nei due conflitti mondiali del Novecento, è proprio il continente europeo ad essere il più esposto non potendo godere della protezione di due oceani. Anche per questo è assai difficile comprendere l’atteggiamento di una politica che sembra aver sposato con inspiegabile entusiasmo, fin dal febbraio 2022, la causa del conflitto, evitando accuratamente ogni possibilità di sforzo diplomatico e dimenticando tutti i passaggi precedenti, a cominciare dagli accordi di Minsk mai rispettati e di cui nessuno fa più menzione.
Oggi ci si trova di fronte a un quadro che ha assunto aspetti inconcepibili. Da una parte l’Europa, palesemente finita in mano a politici incapaci, dall’altra l’America di Biden che, pur bocciata clamorosamente dal voto, con un colpo di coda prima di dover lasciare la Casa Bianca riaccende pericolosamente i fuochi a ottomila chilometri di distanza noncurante di ciò che questo potrà scatenare a chi si trova invece vicino al fronte. Il tutto con politici ridotti al silenzio o alla ottusa compiacenza e con un sistema informativo ormai adeguato a passare veline senza analisi e senza storia.
L’esempio più eclatante viene dal fatto che nessuno ha disapprovato il via libera ai missili a lungo raggio per colpire la Russia, infischiandosene della possibilità di un annunciato innalzamento dell’aggressività da parte di Mosca, ma soprattutto nessuno ha gridato allo scandalo dopo la decisione di fornire mine antiuomo. Chi ha un minimo di buonsenso sa i danni che questi ordigni hanno fatto negli anni uccidendo bambini e civili e, nella maggior parte dei casi, lasciandosi dietro una lunga scia di mutilati. Una vergogna denunciata da decenni, evidentemente invano.
C’è anche il tentativo di sminuire il potenziale offensivo delle mine antiuomo da parte del segretario alla Difesa americano, Lloyd Austin, che serenamente ha parlato di ordigni “intelligenti” perché in grado di perdere la carica dopo un certo periodo. Ma non esistono ordigni “intelligenti”. Le mine sono fatte per colpire chi ci capita, soprattutto per mutilarli. E mentre i militari sono forniti di mezzi per disinnescarle, le altre persone, bambini compresi, non lo sono. Lo sanno bene in Birmania, che conta il più alto numero di morti e feriti da mine antiuomo, così come in Siria, in Afghanistan, nella ex Jugoslavia e in molti altri angoli del mondo. Ma nella stessa Ucraina, dove erano state usate dal 2014, già prima del 2022 l’area contesa del Donbass aveva oltre 1,6 milioni di ettari di territorio minati, soprattutto terreni agricoli e forestali.
Secondo i dati forniti dalla organizzazione non governativa The Halo Trust, che si occupa di sminamento e mappatura di aree pericolose, le mine del Donbass hanno causato prima del 2022 oltre duemila vittime tra uomini, donne e bambini nelle zone rurali. Ed è da tener presente che lo sminamento è sempre lungo e difficile, tanto che il calcolo medio adottato dagli esperti e dalla stessa Onu è di dieci anni di operazioni di sminamento per ogni anno di conflitto con l’uso di mine.
Ancor più difficile è bonificare un’area dove gli ordigni sono stati disseminati a caso con l’uso di proiettili di trasporto come quelli forniti ora dagli Usa. Infatti, anche se né Austin né altre fonti statunitensi hanno precisato la tipologia degli ordigni forniti all’Ucraina, qualche indicazione viene da fonti di Kiev. È il portale d’informazione Defense Express a riferire che l’Ucraina sarà dotata di sistemi a proiettili “Adam” (Area denial artillery munition). Ogni singolo proiettile “Adam” può contare su una gittata di quasi 18 chilometri e può portare numerose mine antiuomo (M67 a lunga durata e M72 a breve durata) che dissemina nel raggio di circa 600 metri al momento dell’impatto. Questo fa ben capire quanto sia difficile mappare, per poi poter bonificare, un campo che è stato minato con l’uso di “Adam”.
Quello che viene da chiedersi è a chi giova alzare così tanto i toni del conflitto. Probabilmente l’industria bellica si sta fregando le mani, ma l’Europa avrebbe tutte le ragioni per tremare. A far riflettere basterebbero le parole usate dal Generale Sergej Viktorovič Karakaev, comandante delle forze missilistiche russe, nel presentare a Putin e ai vertici della Difesa il nuovo missile ipersonico “Orešnik”. Parole assai chiare e minacciose, riportate dall’agenzia Tass: <<Orešnik è un sistema missilistico con blocchi ipersonici che può colpire ogni tipo di bersaglio anche se altamente protetto e con efficienza elevata. Quest’arma può colpire obiettivi in tutta Europa in base ai compiti e alla gittata, cosa che la distingue dalle altre armi a lungo raggio ad alta precisione>>.
Il via libera di Biden agli attacchi missilistici e alle mine antiuomo ha anche offerto l’occasione a Vladimir Putin per ampliare il discorso. Infatti, andando oltre la guerra in Ucraina, il capo del Cremlino ha sollevato la questione della necessità di equilibrio strategico con gli Stati Uniti. Un equilibrio che la Russia percepisce fortemente minacciato dopo l’annuncio americano del luglio scorso di schierare nuovi missili in Germania dal 2026, conseguenza dell’uscita degli Usa dal “Trattato Inf” (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) del 1987 con il quale furono messi al bando gli “euromissili”. Proprio a fronte di ciò, il Cremlino ha dato mandato agli scienziati russi di intensificare la ricerca e la produzione di missili a medio e corto raggio di cui “Orešnik” è, secondo Putin, la prima risposta <<a garanzia dell’integrità territoriale e della sovranità della Russia>>.
I toni stanno salendo dunque all’eccesso e il duro confronto tra Usa e Russia si sta ripercuotendo essenzialmente su un’Europa inerme. L’Unione europea, che ormai offre l’idea di un carrozzone affidato a politiche illogiche troppo spesso guidate da Paesi di nuovo ingresso e privi della cultura europeista dei padri fondatori, non sembra riuscire a percepire i veri rischi. La diplomazia è praticamente scomparsa, mentre la politica farnetica su una possibile invasione da parte di Mosca e non mancano, tra i 27 Paesi dell’Ue, quelli che sembrano voler “piantare gli stivali a terra”. Nessuno parla seriamente di pace. E pensare che l’idea di Europa unita era nata proprio per garantire la pace dopo due disastrosi conflitti mondiali.
Dopo lo scambio di missili, in verità, è stata la Cina, con il portavoce del ministero degli Esteri Lin Jian, a invitare le parti alla <<calma e moderazione>>. Per Jian le priorità sono quelle di <<lavorare alla de-escalation della situazione attraverso il dialogo e la consultazione>> e creare <<le condizioni di un cessate il fuoco da attuare il prima possibile>>. Parole che sarebbe stato bello ascoltare da Bruxelles, anziché dalla lontana Pechino.
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