Tommy Robinson, chi è l'uomo anti islam che infiamma l'Inghilterra
Questa è la storia di Tommy Robinson. Quarantuno anni, estrazione proletaria, è cresciuto a Luton, un sobborgo di Londra. Parla un inglese dall’accento molto forte - caratteristica che fa storcere il naso alle persone «raffinate». Il nostro personaggio, che all’anagrafe si chiama Stephen Christopher Yaxley-Lenno, viene presentato da quasi tutti i media come rissoso, razzista, persino «fascista». Ora si trova in carcere e rischia la vita. Eppure, nonostante la propaganda avversa (e come si vedrà, molto discutibile) decine di migliaia di persone, poche settimane fa, hanno protestato nel centro di Londra, per Robinson «perseguitato politico». Ma che cosa ha fatto questo «masaniello» inglese? Da anni, denuncia pubblicamente bande di uomini, musulmani - per lo più pakistani - che in molte città del Paese hanno circuito ragazzine sbandate, anche minorenni (addirittura di 11 anni), le hanno drogate, stuprate, e persino avviate alla prostituzione. E Robinson ha criticato le autorità locali (polizia, servizi sociali) che non si sono occupate del problema, con la paura di passare per «razziste». Soprattutto, ha messo sott’accusa i testi dell’Islam che giustificherebbero tutto ciò nei confronti di ragazze non-musulmane finite «sotto la loro mano destra»; sono pratiche analoghe a quelle che i terroristi dell’Isis riservano alle ragazze Yazide, ridotte alla schiavitù sessuale.
Un giornalista del quotidiano The Times, approfondendo le accuse di Robinson, ha raccontato la deriva criminale delle bande. Quindi è arrivato anche il governo che ha messo insieme un dossier e da qui ha iniziato gli arresti e i processi contro i responsabili degli episodi. Le cronache dei media, però, hanno parlato di generiche gang di «asiatici», causando l’indignazione per esempio degli indiani non musulmani - soprattutto Sikh - le cui figlie erano fra le vittime. Si è fatto così di ogni erba un fascio (razziale), evitando di individuare la precisa radice ideologica-religiosa dei crimini. Si preferisce non offendere la potente lobby musulmana - quattro milioni di voti alle elezioni, attualmente in appoggio al partito laburista - che guadagna sempre più spazio in Gran Bretagna.
Robinson è diventato, invece, un bersaglio delle istituzioni. In seguito al suo libro, Nemico dello Stato, era finito nel mirino dei magistrati. E adesso, non per la prima volta, è appunto in prigione. Può apparire paradossale che proprio il celebrato sistema giudiziario inglese diventi strumento di persecuzione politica. Ci sono varie garanzie per un innocente accusato ingiustamente. Soprattutto, nelle cause penali, per tradizione la «giuria popolare» ascolta le testimonianze e decide il verdetto - colpevole o non colpevole - che è vincolante, senza alcuna partecipazione di magistrati di carriera. Significa togliere allo Stato il potere arbitrario di punizione del cittadino. Nelle cause civili, come la diffamazione, al contrario, non vi è giuria, decide tutto un giudice monocratico. E, a tal proposito, Robinson è stato oggetto di una denuncia da parte di un profugo siriano di 15 anni. Il ragazzo era stato filmato mentre, a scuola, veniva spinto a terra da un coetaneo, dopo che aveva minacciato di violentare la sorellina di quest’ultimo. L’attivista ha scoperto che il giovane profugo avrebbe poi bullizzato altri compagni, picchiando alcune ragazze, anche se dell’accaduto non esistono filmati. Ha quindi registrato e pubblicato un suo video in cui racconta tutta la vicenda. Dopo la denuncia nei suoi confronti, ha scoperto che i vertici della scuola avrebbero addirittura pagato diverse vittime del ragazzo siriano per non parlare né tantomeno rendere testimonianza in caso di processo. Ha comunque portato in udienza altri testimoni, fra cui alcuni insegnanti. Ma il giudice non li ha ritenuti credibili e ha condannato Robinson a un risarcimento di 100 mila sterline, e a pagare ulteriori 500 mila sterline per spese legali, oltre al divieto di pubblicazione del video incriminato. Nessuna indagine invece sulle autorità scolastiche che avrebbero comprato il silenzio dei testimoni chiamati dalla difesa dell’attivista anti-islam. Che comunque non ha accettato la sentenza e ha mostrato il suo video, dal titolo Messo a tacere, a migliaia di suoi sostenitori che manifestavano con lui a Trafalgar Square. Un atto che è stato bollato come «Contempt of court», ovvero disprezzo della corte.
Dopo essersi recato all’estero, è tornato in Inghilterra pur sapendo che al rientro lo aspettava l’arresto. E così è avvenuto: strano ma vero, si è invocato una norma «antiterrorismo», anche se nessuno ha mai sospettato Robinson di questo crimine. Dalla sua detenzione, il Masaniello d’Inghilterra ha chiamato alla protesta: e dunque, il 26 ottobre scorso, molte decine di migliaia di persone hanno marciato pacificamente nella capitale al grido di «Liberate Tommy Robinson». Intanto l’attivista è stato processato per direttissima e condannato a 18 mesi di carcere, anche se per il reato di «disprezzo della corte» in genere è prevista soltanto una multa. Robinson è attualmente recluso nel carcere di massima sicurezza di Woodhill, con il 37 per cento di detenuti musulmani, tra cui molti jihadisti. Durante una precedente incarcerazione, ha rischiato la vita in seguito a un pestaggio. Eppure la ministra della giustizia inglese, Shabana Mahmood, d’origine pakistana e musulmana - e dalla quale dipende la gestioni degli istituti di pena - non ha ravvisato per il «detenuto Robinson» elementi di pericolosità… Avendo indicato nelle dottrine islamiche la copertura ideologica-religiosa delle bande di stupratori di adolescenti, è ritenuto responsabile di «islamofobia», fenomeno che il premier Keir Starmer ha dichiarato di voler perseguire duramente. Come inciso, va ricordato che in Pakistan l’art. 295c del Codice penale, ispirato alla Sharia, prevede la pena di morte nei confronti di chi «insulta» l’Islam. Per tali motivi, i suoi sostenitori affermano che Robinson sia «un prigioniero politico», al pari di Alexei Navalny in Russia. Se verrà assassinato in carcere, mettono in guardia, il parallelo si compirà fatalmente.
Si è raccontato la storia di Robinson come spia eclatante delle tensioni che un’immigrazione incontrollata sta causando nel Regno Unito. E c’è da sottolineare ancora un fatto che la dice lunga sulle relazioni pericolose tra la stessa politica britannica e la lobby musulmana. Alle elezioni del 4 luglio scorso, Tommy Robinson aveva raccomandato ai propri simpatizzanti di scegliere Reform Uk. Questi hanno contribuito massicciamente al successo da quattro milioni di voti ottenuti dal partito di Nigel Farage. Molti aderenti al partito ora sono infuriati con il loro leader, che ha dichiarato di non voler avere nulla a che fare con lo scomodo attivista: «Non sono d’accordo con il suo stile di protesta da strada», aggiungendo che se dovesse appoggiarlo, anche solo per difendere la libertà di dissenso politico, sarebbe «una catastrofe elettorale». Al di là delle dichiarazioni ufficiali, si deve considerare che l’ex vicepresidente di Reform Uk fosse l’anglo-pakistano Ben Habib, e che l’ex presidente fosse il miliardario orgogliosamente islamico Zia Yusuf, definitosi «British Muslim patriot», la cui fortuna ha contribuito al bene del partito. Meccanismi della politica. Tuttavia, se Farage proseguirà nel rifiutare ogni sostegno al Masaniello incarcerato nel momento in cui rischia la vita, è possibile che la stessa base elettorale di Reform si spacchi, indebolendo il movimento di opposizione. Così anche dalla prigione Robinson continua a far parlare di sé.