Inchiesta Fibronit, la procura chiede l’archiviazione sulla morte di 470 lavoratori per malattie polmonari: «Nesso tra vittime e amianto non provato»
BRONI. Sull’esposizione all’amianto e lo sviluppo di malattie collegate la scienza non ha fornito certezze assolute. Né sul nesso di causa e nemmeno sul lasso di tempo che intercorre tra l’innesco della patologia e il suo decorso. E quindi è impossibile, secondo questa premessa, stabilire le responsabilità per chi si ammalò e morì. È la sintesi delle motivazioni con cui la procura di Pavia, attraverso il magistrato Andrea Zanoncelli, ha chiesto l’archiviazione del secondo troncone di indagine sulla Fibronit, la fabbrica di Broni in cui fino al 1993, anno della chiusura, si produceva cemento-amianto. Un fascicolo che contiene i nomi di 470 vittime: persone che, tra il 2009 e oggi, si sono ammalate di absestosi o sono decedute per mesotelioma (la quasi totalità dell’elenco).
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La sentenza di assoluzione
La strage silenziosa delle vittime di amianto - operai ma anche i loro familiari e persone che abitavano vicino allo stabilimento - era già rimasta senza colpevoli dopo la sentenza, diventata definitiva a novembre del 2022, di assoluzione per gli unici due imputati rimasti nel primo processo Fibronit: l’ex amministratore delegato, Michele Cardinale, 72 anni, e l’ex direttore di fabbrica Lorenzo Mo, 71 anni. Quel procedimento riguardò 275 decessi fino al 2009 (ma solo 27 casi restarono nel processo). Dopo due processi, un ricorso in Cassazione, poi un giudizio-bis davanti alla Corte di Appello, le conclusioni furono che non si poteva condannare nessuno, perché le varie perizie non riuscirono a dire «come e quando» la condotta degli imputati incise sul decorso della malattia.
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Cosa stabilirono gli esperti
Per i periti, soprattutto, risulta difficile collocare il cosiddetto “failure time”, cioè il momento il cui la fibra di amianto ha scatenato in modo irreversibile il processo che ha portato al mesotelioma, quindi alla manifestazione della malattia. Ma restano dubbi anche sul nesso di causa: non sarebbe cioè possibile dire se, senza l’esposizione, la patologia si sarebbe manifestata lo stesso.
Gli indagati
Il filone per cui la procura chiede l’archiviazione porta i nomi di dieci indagati: sono gli stessi imputati del primo processo, ma quasi tutti sono morti o dichiarati incapaci di intendere e volere. Nell’atto giudiziario, che dovrà ora essere notificato a tutte le parti offese, si constata il “fallimento” nel dare una risposta ai familiari delle tante vittime. Nel documento si sottolinea «il tentativo, più storico che penalistico, che questa Procura ha inteso per oltre un decennio perseguire nell’intento di dare una risposta alla tragica strage consumatasi nel territorio del Comune di Broni e nella Provincia di Pavia», tentativo che «ha trovato un ostacolo giudiziario insuperabile».
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La prospettiva penalistica, si legge, «non ha saputo offrire una tutela alle vittime del contagio da fibre di amianto né ai loro prossimi congiunti», e questo «malgrado le toccanti parole spese in occasione delle sue conclusioni da uno degli avvocati delle parti civili: “Tutti noi che viviamo o lavoriamo a Broni siamo delle bombe a orologeria, speriamo solo di essere graziati per qualche motivo e che, in qualche modo, possa arrivare una qualsiasi forma di risposta dallo Stato”».