In quali casi i professionisti del digitale rischiano la loro identità
«Qualcuno è entrato in possesso del mio profilo». Quante volte abbiamo assistito a questo appello dai feed dei principali social network? Allo stesso modo, ci è capitato diverse volte – soprattutto se lavoriamo quotidianamente con strumenti che il digitale ci mette a disposizione – di vedere addebitate, sulla nostra carta, delle cifre connesse ad abbonamenti online che non abbiamo sottoscritto. Insomma, il furto dell’identità digitale non avviene soltanto quando qualcuno esegue un accesso anomalo ai nostri conti corrente: più c’è esposizione digitale, maggiore è il rischio che una cosa del genere possa accadere. E – a volte – non basta nemmeno stare molto attenti e aggiornati alle varie tematiche connesse all’educazione digitale.
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Furti identità digitale, i casi più diffusi
Le casistiche che si osservano sono innanzitutto i furti d’identità legati a danni economici diretti. Si pensi, ad esempio, ai pagamenti non autorizzati di abbonamenti per servizi online. Questi software possono essere ulteriori elementi di finzione che un social hacker riesce ad attivare, ingannando anche un professionista. Persone che hanno meno frequentemente la possibilità di fare acquisti online sono meno esposte, perché magari si limitano a usare solo Amazon per le loro attività di e-commerce. I professionisti del digitale, invece, sono maggiormente esposti a casi di phishing semplicemente perché adottano un numero maggiore di strumenti online, su cui si possono innestare diversi tentativi di furto dell’identità, per non parlare del social engineering.
L’altra casistica non è strettamente collegata al danno economico, ma si lega alla possibilità di non avere più accesso alle proprie risorse. È molto frequente nel caso dei social: tanto più il profilo di un utente ha un’ampiezza di followers, tanto più è esposto a interventi che impediscono al titolare dell’account di accedervi. È come se qualcuno – per intenderci – entrasse in casa d’altri e sostituisse la serratura. In questo caso, la serratura è rappresentata dalla password. Lo scopo di questa seconda casistica, da parte di chi effettua il furto d’identità digitale, è quella di realizzare attività di marketing sfruttando – in maniera non autorizzata – il bacino di pubblico del content creator, oppure di realizzare azioni lesive della reputazione del content creator stesso.
C’è un terzo caso che riguarda anche i professionisti del marketing: molto spesso, per ragioni di lavoro hanno la loro carta di credito personale o la loro carta di credito aziendale inserita in piattaforme per effettuare campagne pubblicitarie via social a pagamento. Questa attività espone gli esperti di markerting al furto di questi dati: chi dovesse sostituirsi a questa categoria professionale, poi potrebbe effettuare campagne su piattaforme molto diverse ed è un’attività più frequente di quanto si possa immaginare. Si può arrivare, in questo modo, anche a perdere dai 5mila ai 10mila euro in una sola notte. Le grandi piattaforme, come Meta ad esempio, non hanno una vigilanza su questo tipo di situazione, perché riconoscono quei pagamenti come legittimi, a prescindere da chi stia effettuando le campagne di marketing derivanti da un furto d’identità digitale.
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