Treviso e i 30 anni della Lega, dal “sindaco sceriffo” alle sfide del Pnrr
Notte tra il 4 ed il 5 dicembre 1994. Il primo ballottaggio del capoluogo incorona Giancarlo Gentilini, l’avvocato (in realtà dottore in legge) alpino, che sconfigge il rivale del centrosinistra Aldo Tognana, in deciso vantaggio al primo turno.
Il centrodestra, diviso in 4 liste al primo turno, fa il ribaltone. Gentilini gioca il match decisivo per uno 0,1% di vantaggio su Forza Italia, due settimane prima. I bivi della storia: la mancata intesa Mazzarolli-Galan (e la nascita di Ritrovare Treviso degli ex Dc) bloccarono Stefano Cerniato, potenziale sindaco azzurro a soli 33 anni.
Un viaggio lungo trent’anni
Trent’anni esatti da quando la Lega ha conquistato la città, capoluogo di una Marca roccaforte leghista.
Premessa: sono 30 ma lordi (c’è stato il mandato del centrosinistra con Manildo) ma certo l’impatto di Gentilini, fenomeno mediatico, e senza dubbio icona della riforma del tutto il potere ai sindaci, contribuirono al decollo successivo del partito. Tre decenni che sono un’epoca, per la città. Dibattito aperto, per storici ed addetti ai lavori – su quel che ha portato a capoluogo e Marca l’avvento del partito più territoriale.
Sul piano amministrativo, focus preliminare della città nel 1994, dopo il mandato del commissario Elio Giannuzzi: Gentilini trovò, sulle rive del Sile le ceneri della Prima Repubblica ed un tesoretto di 26 miliari dell’epoca (le non scelte del pentapartito e delle ultime giunte trasversali). E il suo ex datore di lavoro, Dino De Poli, sceglieva di guidare la Fondazione con 2000 miliardi di lire di patrimonio da spendere.
Congiuntura pressoché unica, cui Gentilini aggiunse il suo inconfondibile stile ed una visione capoluogo centrica, anche nelle opere pubbliche. Ma nella grandi infrastrutture, dopo 30 anni, la città è sempre orfana della tangenziale, pardon i 3 km di prolungamento (altro che Salerno-Reggio Calabria), per quanto siano arrivati tre sovrappassi. Non ha risolto la mobilità ad Est, ha “snellito” le Stiore ma non il nodo park (tutto Lega il flop del Miani), dove da un quarto di secolo pende il progetto del park Vittoria. Pedonalizzazione? Un passo avanti e due indietro, da 7 anni non si muove foglia sui minibus elettrici per il centro.
Certo, Treviso ha il primato nel riciclo dei rifiuti, patrimonio di un progetto Lega- Pd sulla differenziata cui il capoluogo è arrivata in ritardo.
Lo sceriffo di Treviso
E Gentilini è stato l’artefice della rivoluzione epocale del Put (2000), ma dopo un quarto di secolo il traffico si sta ingorgando.
Nuova viabilità? Il nulla. Promesse annunci, dal quarto lotto al Terraglio Est. Il “fare” di Gentilini, buono per fioriere, mura e tombini, è diventato stallo totale sulle arterie. In 30 anni, zero; neanche un metro. Rotonde? Quelle dell’Appiani di viale Europa, non quelle in una strada Ovest sempre più congestionata. Quella ai confini con Frescada, ora, “tappa”, Lazzaro. E buon che oltre 20 anni ci sia una mobility manager.
Meglio è andata per cultura e turismo, dove De Poli ha riaperto l’università (2000) e con Goldin ha varato il ciclo di grandi mostre (1998-2004) che ha lanciato definitivamente la città, facendo scoprire una vocazione e un indotto. E poi: i restauri di S. Caterina e Bailo, il Salce e S. Gaetano, forse adesso il Monte di Pietà (da Fondazione). E per il turismo la scelta di Gentilini di non chiudere l’aeroporto ha creato le basi per un Canova aeroscalo di rilievo internazionale.
I grandi cantieri? Il dono più rilevante, sul piano storico, non si vede: è l’ampliamento della rete fognaria, con Conte che in due mandati sta praticamente raddoppiando fino al 62%.
Uno sguardo al futuro
Gli interventi pubblici sopra suolo sono in corso, con i fondi Pnrr. Vedi le mura: il cartello “work in progress” è quello di tendenza in città, dalle periferia al nuovo polo universitario a S. Nicolò così caro a Conte.
Poi, certo, la cittadella Appiani, Doveva essere la Treviso 2, ha svuotato il centro di funzioni e di utenti, e ancora la Treviso 1 pare non essersi ripresa, come testimoniano le vetrine spente entro mura.
Poi, certo, la cittadella sanitaria, il dono che Zaia vuol lasciare alla città («Altrimenti non lasciamo nulla dopo 30 anni», avrebbe detto ad una cena ai fedelissimi). Anche questa, va detto, in fortissimo ritardo sui tempi del cronoprogramma varato dall’allora dg Dario.
Ed infatti, sono stati anche tre decenni di inerzie, occasioni non colte, stalli e anni perduti. L’ultimissima sfida è la Grande Treviso, per ora molto ciclopedonale e “green”.
Infine, il fronte più politico. Non c’è dubbio che l’effetto Treviso abbia contributo a creare la Marca primo feudo leghista, tuttora (ma il Carroccio non è più dominus). E la Marca ha portato la Lega, con Zaia, a conquistare la Regione, con un suo personalissimo ciclo. Ma è evidente come Treviso non sia così “pesante” a Roma e nelle stanze del potere, bensì strategica a Venezia. E decisamente residuale appare anche il potere trevigiano in Lega, controllata dai cugini lumbard.
L’intervista a Gobbo
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«Il bilancio di questi 30 anni è largamente positivo, e non solo per la città, per il riverbero diretto su tutta la provincia, grazie alla nostra classe di dirigenti capaci, dai comuni fino alla Regione».
Gian Paolo Gobbo, padre della Liga trevigiana e veneta per quanto non pioniere, non esita a “tirar par casa”, come si dice. «Attenzione, Gentilini non è stato il primo sindaco nostro, certo ha saputo interpretare la nuova legge come nessun altro», continua Gobbo, «soprattutto lui e gli altri hanno saputo connotare la loro azione amministrativa con le nostre parole chiave: identità, storia, voglia di autonomia. E Gentilini non nasceva dal nulla, nel 1983 gli avevo chiesto se volesse fare il candidato al Senato: mi disse che finché avesse lavorato in Cassamarca non poteva, poi avrebbe dato la disponibilità anche a fare il sindaco. L’ho preso in parola....».
Gobbo, ma la tangenziale che non va avanti, il traffico che peggiora, l’inquinamento, i buchi neri...
«Ci sono stati problemi burocratici non indifferenti, il traffico è peggiorato ovunque, come lo smog è diffuso in tutto il Nord. Ma intanto c’è il nuovo ospedale, le Ulss venete sono ai vertici nazionali, Treviso è bella, invidiata da tutta Italia. E mi pare che Conte stia ben sfruttando i fondi Pnrr. È un cantiere? Vuol dire che la città cambia, in meglio».
Lei e Gentilini avete sfruttato la cassaforte di Fondazione, che mica tutte le città avevano.
«È una colpa? La cittadella Appiani ha sanato situazioni, e poi ricordo le grandi mostre, i progetti, quei denari dei trevigiani sono stati investiti. Il Comune non aveva possibilità e fondi, allora, oggi ancor meno. E dico altre due cose: Fondazione ha la flessibilità che un Comune non può avere e può dar lavoro ad aziende locali, se pensiamo a ricadute sul territorio ed efficienza dei cantieri».
Sull’Appiani si discute ancora molto, e pure nel vostro partito.
«Gentilini sollecitò De Poli ad interessarsi di quell’area. E sì, ci furono contestazioni in Lega, ma Gentilini pose il diktat: o votate l’Appiani o me ne vado, e tutti a casa».
Gentilini si salvò due volte, grazie a Gastone Novello ed Armando Mazzobel.
«Vero, sono stati responsabili. Ma aggiungo che i cittadini sono per il fare, per sistemare le cose, per risanare le aree degradate».
La sensazione è che Treviso, in casa Lega, sia stata però penalizzata rispetto al resto della provincia. Vedi la tangenziale ancora ferma.
«A me non risulta».
I presidenti della provincia non sono più del capoluogo, come Bruno Marton.
«Succede da decenni e decenni, con la Dc c’è stato Innocenti, non vedo il problema».
Qualcosa di cui vada particolarmente orgoglioso?
«Io rifarei tutto quel che ho visto in questi 30 anni. Personalmente tengo molto ai restauri di Santa Caterina e museo Bailo. Due gioielli».
E un rimpianto, in questi 30 anni, per la città?
«Restiamo stretti fra due regioni autonome, e continuiamo a subirne la concorrenza sleale: Roma su questo non ci ha mai ascoltato».
Sia sincero: si aspettava di aprire un ciclo, nel ’94?
«Sapevo che con Covre, Muschietti e poi con Gentilini si sarebbe svoltato. E poi c’è stato Mazzonetto in Provincia, infine Zaia. La storia delle Lega è la mia, ma credo che siamo stati capaci di creare una squadra, con deputati, senatori, consiglieri regionali e provinciali, tutta gente che sapeva e sa amministrare».
Adesso è Conte il futuro?
«Gentilini gli sparava dietro un giorno sì e uno anche, ora è la sua creatura. E ricordo anche Garofalo alla guida di Fondazione Cassamarca, un coach che ho voluto io lì».
Ma secondo lei ci sono all’orizzonte altri 30 anni?
«In politica ogni giorno qualcosa si crea e qualcosa si distrugge, c’è sempre un’evoluzione. Per me c’è stato il cammino dalle origini fino a prendere il Veneto».
Ma a Roma pesate poco pare. E i lombardi, in Lega, dominano.
«Loro sono 10 milioni, noi 5, i pesi rispecchiano anche questo. La prima regione leghista è stata il Veneto, con Zaia, 2010. Ci facciamo sentire, poi ci sono altre logiche, pesano le organizzazioni. Qui noi della Liga abbiamo una più spiccata vocazione territoriale. Non nazionale».
Allude al piano-Salvini?
«Per carità, chi mi conosce sa che sono stato e sarò fedele al partito, sempre. E ai congressi»