Sardegna tradita: ignorata dalla giunta Todde la mobilitazione popolare contro i big di sole e vento
di Leandro Cossu*
La disillusione verso la politica è ormai un tema ricorrente in ogni incontro di partito, accompagnato da promesse di riportare il popolo al centro della democrazia tramite la partecipazione diretta. Belle parole, che tuttavia nascono da una realtà opposta a ciò che dichiarano. Non si tratta di un reale intento democratico, ma di un bisogno propagandistico che maschera un altro fine: ovvero, il bisogno propagandistico che la maggioranza rivendichi come proprie scelte prese da altri e per altri interessi.
Quello che è successo in Sardegna è abbastanza esemplificativo. In principio fu il MoVimento 5 Stelle: un partito politico che predicava la democrazia diretta, e tramite una piattaforma chiamata Rousseau faceva prendere le decisioni più importanti ai propri iscritti. Per una manciata di like in più ci si poteva ritrovare candidati alla Camera dei deputati in un collegio blindato. Era la risposta sbagliata a un bisogno reale: ovvero, riempire il vuoto di cinque anni tra le elezioni con momenti decisionali che togliessero al voto il carattere di una delega in bianco. La risposta corretta avrebbe previsto la ricostituzione di corpi intermedi e di processi reali e concreti in grado di mediare tra popolo e rappresentanti istituzionali, e non di certo sondaggi calati dall’alto.
Ma cosa succede se la rivendicazione di partecipazione diventa realtà?
Negli ultimi quattro anni abbiamo assistito in Sardegna a una offensiva speculativa senza precedenti. Grazie ai decreti Draghi e agli irresistibili fondi del Pnrr, grandi gruppi finanziari e multinazionali del sole e del vento hanno puntato l’isola, facendone terra di conquista per grandi campi di eolico e fotovoltaico. Questo atto predatorio, volto al mero profitto, non lascia vantaggi concreti alla terra di Gramsci, che produce già il 40% in più dell’energia che consuma. Alla Sardegna rimarrebbero solo distese industriali, non-luoghi che andrebbero a distruggere irreversibilmente economia, antropologia, ambiente e cultura di una terra che solo negli ultimi due secoli è già stata sfregiata da spoliazioni coloniali di questo tipo.
A luglio 2024, però, succede l’imprevisto che cambia la storia. Il sindaco di Orgosolo presenta una proposta di legge di iniziativa popolare, che viene ribattezzata “Pratobello 24”: lo stesso nome della protesta antimilitarista del 1969, che aveva visto proprio gli orgolesi impedire la costruzione di una base dell’esercito italiano nel territorio del comune. Il principio della legge è semplice: tramite la competenza urbanistica dello statuto autonomo sardo (sempre rimasta saldamente nelle mani della Regione e non dello Stato) vietare la costruzione delle centrali FER, lasciando aperta la possibilità solo alle comunità energetiche e al fotovoltaico lineare (lungo strade, ferrovie etc.). In Sardegna ci sono un milione e mezzo di abitanti. In un mese e mezzo, tra agosto e settembre, questa proposta di legge, a fronte delle 10mila richieste, ha raccolto 210mila firme autenticate: un sardo su sette ha firmato! Come se una raccolta firme estesa a tutti i cittadini italiani avesse raccolto più di otto milioni di firme.
Uno strumento istituzionale è diventato protagonista del più grande momento di autolegislazione della storia delle liberaldemocrazie, e sfido i lettori a trovare raccolte firme autenticate – non petizioni su internet – con numeri assoluti e percentuali paragonabili. Non una semplice manifestazione di dissenso, ma un movimento storico finalizzato a una proposta normativa reale, specifica e concreta. Era piuttosto evidente, dalle dichiarazioni e dalle scelte politiche concrete, che il consiglio regionale e la giunta guidata da Alessandra Todde, esponente dei 5 Stelle di cui ho già parlato, fossero più inclini a soddisfare gli interessi speculativi dei signori della transizione energetica anziché tutelare quelli dei sardi. Tuttavia, dal 2 ottobre – data in cui, con una grande manifestazione popolare, abbiamo consegnato le 210mila firme (senza poter dialogare con la signora Todde, assente a Cagliari quel giorno) – dalle istituzioni regionali abbiamo ricevuto solo insulti e derisioni, sia dai “baronetti” del campo largo sia dai loro sostenitori più accondiscendenti.
Ripetono: “Solo 210mila? 1,3 milioni di sardi non hanno firmato!”, dimenticandosi che la raccolta firme in quanto tale non ha convocazioni uniformi come le elezioni, e che quel risultato è stato limitato dalle aperture limitate degli uffici anagrafe o alla presenza disorganica di banchetti con volontari.
Ripetono: “A fare le leggi è il consiglio regionale, non il popolo”, dimenticandosi che le leggi di iniziativa popolare sono uno strumento istituzionale e normato, e i numeri senza precedenti di questa raccolta sono una indicazione politica concreta che non si può ignorare con scuse e magheggi.
Ripetono: “La Todde è stata eletta per legiferare, non altri”, dimenticandosi che è stata sì eletta, ma con uno scarto minimo grazie al voto disgiunto previsto da una legge elettorale antidemocratica, e se vale il discorso della maggioranza assoluta per delegittimare il numero delle firme, vale anche per lei che non rappresenta di certo il 50% più uno dei sardi.
E ancora: accusano i sardi di non avere letto la legge per cui hanno firmato (ma chi ha letto il programma del campo largo?), di essere stati plagiati dall’unico giornale che ha parlato della legge (confondendo causa ed effetto e glissando sul resto dei media sardi che ha scelto deliberatamente di ignorare la raccolta firme). La Presidente ha accusato di violenza chi ha raccolto le firme…
Insomma: l’autolegislazione (tanto amata dai 5 Stelle delle origini) e la partecipazione popolare (tanto esaltata dai grillini sgrillinizzati di Nova) sono state svilite da una presidente che non ha ritenuto di dover dare risposte istituzionali a una mobilitazione storica, che è stata bellamente ignorata come se non fosse successo niente. Pur di sputare sulla volontà popolare, il Consiglio Regionale ha fatto votare un altro disegno di legge sulle aree idonee alla costruzione di impianti FER, che si annuncia come un colabrodo normativo che consentirà il grosso di ciò che i signori del sole e del vento vorranno imporre alla Sardegna.
La situazione è catastrofica, e l’isola si ritrova a vivere la stessa torsione autoritaria che sta prendendo piede in Occidente. Eppure, non tutto è perduto. La mobilitazione per la Legge Pratobello ha mostrato che esiste ancora un antico senso di dignità e volontà di sfidare l’apatia generale e la rassegnazione per situazioni altrimenti vissute come atti di prevaricazione inevitabili a cui si può solo soccombere. Sulla rivolta di Pratobello del 1969, si tramanda questo dialogo:
“E quanti siete, voi, a Orgosolo?”.
“Cinquemila siamo”.
“Non ce la farete mai contro lo Stato” disse l’ufficiale.
L’ex pastore, sorridendo, lo rassicurò: “Oh, non si preoccupi, ce la facciamo, ce la facciamo…”.
* Dottore in scienze filosofiche e 1/210.729 delle firme per la Legge Pratobello 24
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