Vaticano, la Via Crucis dell'impiegato
Ormai si affidano alla provvidenza, perché della previdenza non si fidano più. Sono circa 4.200, sono gli impiegati del Papa costretti, alla vigilia del Giubileo, a una loro personalissima «via crucis» da un rescritto di Jorge Mario Bergoglio sull’annosa questione delle finanze pontificie, sugli stipendi e il futuro dei «lavoratori del Signore» che rischiano di non prendere più la pensione. Scrive il Papa: «Dobbiamo affrontare problematiche serie e complesse che rischiano di aggravarsi se non trattate tempestivamente. Mi riferisco alla gestione del nostro Fondo pensioni. Emerge un grave squilibrio: l’attuale sistema non è in grado di garantire nel medio termine l’assolvimento dell’obbligo pensionistico per le generazioni future».
«Così si vive male» confida a Panorama G.F., le iniziali del nome sono di fantasia, «a parlare con voi rischio, ma la situazione sta diventando difficile, siamo al limite». L’incontro avviene in un «Getsemani» romano; G.F. sta vivendo una sua personale passione. «Oggi lavorare per il Papa è diventato un atto di dolore. Siamo statali che lavorano a cottimo con l’obbligo di tacere e di obbedienza assoluta». Eppure la vulgata immagina solo privilegi: niente tasse, medicine gratis, regali a Natale e alle feste comandate, affitti e benzina calmierati. «È il contrario. Mi raccomando: nessun riferimento né al dipartimento dove lavoro, né a me. Altrimenti mi licenziano in tronco». E l’esercizio del perdono? «Lasciamo perdere. In Vaticano i lavoratori non hanno alcuna tutela: basta un motu proprio del Papa e sei civilmente morto». Sarà per questo che l’Associazione dipendenti laici vaticani - una sorta di sindacato interno - è cresciuta negli ultimi tempi di pontificato di Bergoglio: da cento a 700 iscritti in cinque anni. A guidarla c’è adesso Paola Monaco. L’hanno eletta a settembre e le tocca l’ingrato compito di contrastare questo impressionante giro di vite magari con una protesta clamorosa. «Credo» racconta G.F. «che ci mobiliteremo all’apertura della Porta santa. Niente sciopero però, in Vaticano non c’è quel diritto né altre garanzie, compresa la tutela della privacy. Per contratto non possiamo divorziare. Chi sta nella manica dei prelati influenti ottiene l’annullamento della Sacra Rota. Mai parlare di fidanzati o fidanzate. Si dovrebbe andare a messa, ma per fortuna Dio ci vede, ma il Papa no. Gli spioni però sono sempre all’opera: non siamo più sereni. Se chiedi un aumento rischi la scomunica, se pretendi gli straordinari ti guardano male. Guai a domandare una spiegazione sul perché hanno dato una consulenza esterna. Lavorare in Vaticano oggi non conviene né per lo stipendio né, tanto meno, per la professione. Scatti di carriera bloccati tranne se sei amico di una delle due lobby che contano. La prima è quella dei gay, estesa e potentissima, la seconda è il “club di Santa Marta” che fa da cintura al Papa. Per entrarci non devi leggere giornali di centrodestra, devi parlare spagnolo perché il latino è la lingua della tradizione che va abolita. Devi essere green, pro-migranti e soprattutto pro-Palestina. Per loro il venezuelano Nicolás Maduro è un santo e Donald Trump il diavolo. E devi stare attento ai cambiamenti, repentini, di umore e di opinione di Bergoglio. Forse allora lo stipendio aumenta. Il risultato è che oggi fanno fatica a trovare personale qualificato. Per risparmiare hanno chiesto straordinari a suore e sacerdoti: non li pagano però e fanno “dumping” sul nostro lavoro».
In verità c’è chi li paga. È il contribuente italiano. Siccome il fondo per il sostentamento del clero non ha risorse finanziarie a sufficienza attinge all’otto per mille. La Cei, Conferenza episcopale italiana, finanzia la Ong di Luca Casarini che soccorre i migranti in Mediterraneo e però conta sul fisco italiano per pagare i curatori di anime. Il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei, non dirà mai, a proposito di pensioni, che quella dei preti e delle suore la paga l’Inps. Esiste da oltre 30 anni il fondo pensione dei ministri di culto (comprende anche quelli di confessioni non cattoliche) che eroga gli assegni ancora con il conveniente sistema retributivo.
Il Vaticano versa un po’ di contributi, ma non bastano perché c’è un ministro di culto «attivo» ogni tre pensionati. Ecco che così il fondo viaggia con un passivo di circa 43 milioni all’anno e, come si legge nel rendiconto Inps, «il disavanzo patrimoniale al 31 dicembre 2023 è di 2.422,182 milioni di euro». Due miliardi e mezzo! «E invece noi delle nostre non sappiamo nulla» protesta G.F. «Tutto quello che riguarda il denaro da quando c’è Papa Bergoglio è top secret, eppure il fondo pensioni è alimentato dai nostri contributi, sono soldi nostri». La lettera del Pontefice lascia pochi dubbi. Ha trasferito la competenza del fondo pensioni alla Spe, la segreteria dell’Economia «che è» spiega ancora G.F. «una sorta di Spectre dei conti. Controllano il nostro tenore di vita per stabilire quanto pagarci». A capo della Spe, Francesco ha nominato - come scrive nella famosa lettera - «Sua Eminenza, Kevin Joseph Card. Farrell, amministratore unico per il Fondo pensioni per rispondere alle sfide che il nostro sistema previdenziale deve affrontare». Farrell ha il soprannome poco rassicurante di «Mani di forbice». «Negli ultimi anni» racconta G.F. «abbiamo avuto la sensazione che Francesco governi le finanze vaticane animato dal sospetto e dalla parzialità. Era partito benissimo: appena elevato al soglio di Pietro, aveva sanato le posizioni dei precari. Poi piano piano è cominciata la nostra via crucis. Un esempio: durante il Covid siccome i Musei vaticani erano chiusi e mancavano i soldi ci hanno tolto uno scatto di anzianità. A fine carriera ci costerà 20 mila euro. A chi chiedeva di vedersi abbassato l’affitto hanno risposto: se facciamo come in Italia non vi paghiamo più lo stipendio. Peraltro ormai sono pochi quelli che si possono permettere una casa del Vaticano: costa troppo. E si vive una sorta di apartheid tra i meno di mille - compresi cardinali e alti prelati - che vivono entro il perimetro della Santa sede e hanno la cittadinanza che il Papa può revocare quando vuole e noi che siamo i paria della periferia.
Il Papa predica bene, ma agisce male. In difesa della maternità, altro esempio, non fa nulla: non ci sono asili nido, scuole materne, niente a vantaggio delle donne. Solo il centro estivo funziona egregiamente: i bambini possono fare il bagno nella piscina di Bergoglio. Hanno cercato in tutti i modi di mandare via gente e di tagliare gli stipendi e non c’è riparo perché la Segretaria di Stato del cardinale Pietro Parolin nel governo del personale vaticano non ha più voce in capitolo. Parolin è stato messo ai margini; chi decide tutto è il cerchio magico di Bergoglio: argentini e gesuiti». E cioè Juan Antonio Guerrero Alves, Maximino Caballero Ledo, Luis Herrera Tejedor, direttore delle risorse umane. Tutti «sotto la mantella» del cardinale Farrell. Ma quello che non torna «è la parzialità: danno incarichi all’esterno convinti di risparmiare, dal 2014 abbiamo perso almeno un terzo del potere di acquisto, è diventato difficile usufruire anche delle prestazioni del fondo sanitario. E tutto per meno di duemila euro al mese se sei un “quadro”, meno di 1.300 se sei un giardiniere».
«Un tempo» finisce di illustrare la sua vicenda G.F. «si entrava in Vaticano con livelli alti: oggi ti assumono, sovente dopo anni di part time, con il livello più basso. Ci prendono anche in giro annunciando tagli ai cardinali... I loro stipendi sono stati ridotti di 500 euro, ma su una base di seimila. Allo Ior fanno promozioni a raffica, all’Apsa (l’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica, ndr) siccome ci sono i fondi degli immobili c’è gloria, ma soltanto per alcuni. Il resto dei dipendenti del Papa stenta. A loro, in occasione del Giubileo del 2000, San Giovanni Paolo II riconobbe indistintamente una gratifica di mille euro, Francesco ci annuncia il taglio delle pensioni. Non è difficile trovare la differenza». In Argentina, da dove arriva Papa Francesco «e da dove» confida G.F. «ha importato pratiche peroniste, il populismo autoritario verso noi dipendenti si chiama corralito, che sarebbe “il recinto per animali” ed è la sospensione di liquidità che serve a bloccare la deriva dei conti». La paura dei dipendenti vaticani è che Bergoglio decida di sospendere il pagamento di stipendi e pensioni per alcuni mesi come fece il governo di Buenos Aires nel Duemila per salvare le banche.
Un allarme eccessivo? Il prefetto della segreteria per l’Economia, Caballero Ledo, ha parlato chiaro: «Se dovessimo coprire il deficit soltanto tagliando le spese, dovremmo chiudere 43 delle 53 entità che fanno capo alla Curia romana». Perché i conti non tornano. L’Apsa - a Roma possiede oltre quattromila immobili, in giro per l’Europa ce ne sono altri 1.200 - ha un utile di 45,9 milioni di euro. Tuttavia non compensa l’emorragia di offerte dell’Obolo di San Pietro: nel 2023 le entrate sono ammontate a 52 milioni a fronte di 109,4 milioni di uscite. Il Papa, fatti tutti i conti, segna oggi un rosso di oltre 83 milioni. Da qui lo spauracchio del corralito che il Pontefice ha anticipato con l’incameramento, da parte dello Stato, del fondo pensioni autonomo e con la liquidità girata dalla riscossione delle imposte nazionali. La dotazione del fondo potrebbe essere stata utilizzata per coprire il deficit vaticano. Perciò il sindacato Adlv chiede chiarezza. L’occasione ci sarebbe: il Giubileo, l’atto della grande confessione. Ma può diventare l’anno della grande mobilitazione. Perché anche i dipendenti vaticani nel loro piccolo s’arrabbiano.