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Sale l’occupazione, ma i salari restano bassi: i dati sul mercato del lavoro in Friuli Venezia Giulia

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Aumenta l’occupazione, diminuiscono disoccupazione e inattività, si riduce il divario tra generi. È una situazione di crescita complessiva delle dinamiche di domanda e offerta quella fotografata dall’analisi su dati Istat svolta dall’Osservatorio regionale sul mercato del lavoro. Nel confronto con il periodo pre-pandemia, l’andamento generale del mercato del lavoro in Fvg è positivo, ad eccezione di un unico dato: i salari reali, che rimangano ancora bassi.

Quasi 9 mila occupati in più

Nei primi nove mesi di quest’anno gli occupati in regione sono 527.541, in aumento dell’1,7%, pari a 8.855 unità in più, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. L’occupazione cresce in Fvg in linea con il dato nazionale (+1.8%), ma in misura superiore alla media del Nord Est che si ferma allo 0,7%.

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Rispetto allo stesso periodo del 2019, la crescita è addirittura del 4% (+19 mila occupati), superiore a quanto calcolato su tutto il territorio nazionale (+3.5%) e a Nord Est (+2.3%). I disoccupati in Fvg calano del 9,1% (-2.325), gli inattivi del 3,5% (-7.119). Il miglioramento riguarda soprattutto la componente femminile: le occupate aumentano del 3,4%, le disoccupate diminuiscono del 16,4% e le inattive calano del 3,7%. Migliora il divario tra generi, che scende al 10%.

Donne e giovani, salari bassi

Eppure, sebbene in un quadro tendenzialmente positivo, non mancano le criticità. A cominciare proprio dal basso livello dei salari reali: nel 2021-2022, biennio di forte crescita dell’occupazione, gli stipendi, già bassi, sono scesi ancora dell’1%. In Fvg il reddito medio annuo è di circa 25 mila euro e si ripropongono le disparità che emergono anche nel mercato del lavoro: a guadagnare meno sono le donne (17 mila euro), i giovani tra i 20 e i 34 anni (13 mila) e chi riveste posizioni a tempo determinato (11 mila).

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«È un cane che si morde la coda», spiega Carlos Corvino, responsabile dell’Osservatorio regionale del mercato del lavoro. «Abbiamo il record di occupati e di assunzioni, però le ore di lavoro diminuiscono e i salari sono sempre più bassi». Se una parte di questo calo si deve all’introduzione delle nuove tecnologie, che fanno diminuire il bisogno di lavoro umano, la grande fetta della riduzione delle ore è legata alla prevalenza di lavoro a termine e part time. «E questo ha un impatto sui redditi, che sono ore lavorate non posti occupati», prosegue Corvino.

Più contratti a tempo determinato

Dopo due anni in territorio positivo, con le stabilizzazioni che hanno consolidato gli organici delle aziende, dalla fine del 2022 la tendenza si è invertita: ad aumentare è il lavoro a termine (+4% nel 2024), a scapito di stabilizzazioni e indeterminato (-7%). Il problema riguarda sempre in misura maggiore giovani e donne, perché è in quelle categorie che prevale il precariato. A ottobre 2024 le assunzioni a tempo indeterminato sono tornate a salire, trainate dal terziario (+40%), ma è ancora presto per parlare di controtendenza.

Se la domanda aumenta e l’offerta è bassa, la pura teoria economica vorrebbe che l’equilibrio si raggiunga con salari più alti. «Ma non è così – osserva ancora Corvino – perché le imprese non trovano personale». La carenza di manodopera colpisce soprattutto il settore dei servizi, dove prevalgono i contratti a termine e i part time. «C’è un grande domanda di lavoro che non viene soddisfatta. Da un punto di vista numerico assisteremo probabilmente ancora a una crescita degli occupati, ma c’è il problema del lavoro povero», prevede Crovino.

Per il responsabile dell’Osservatorio, è certo che ci sarà ancora lavoro, ma forse non sarà per tutti. O non a condizioni dignitose. «Il salario è rigido verso il basso e questo non dipende da una dinamica economica, ma dalla contrattualistica e anche dalla produttività del lavoro. L’Italia è un Paese a bassa produttività del lavoro, ma c’è anche un problema di redistribuzione».

Pro e contro della tecnologia

Accanto ai salari bassi e alla precarietà per giovani e donne, c’è un terzo tema: l’evoluzione tecnologica. Un’opportunità per il futuro, in termini di costruzione di nuovi figure professionali, ma anche un rischio per la perdita di posti di lavoro in questa “fase di mezzo”. Soprattutto nell’industria: in questo settore l’occupazione in Friuli Venezia Giulia è calata del 3,8% nei primi nove mesi di quest’anno, dell’1,2% rispetto al 2019. Secondo i responsabili dell’Osservatorio, la contrazione è «preoccupante perché non è di natura contingente».




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