Le confessioni di Sharon Stone: «Non sono più quella di Basic Instinct»
«Con Robert De Niro ci siamo conosciuti negli anni Ottanta, quando mi sono sottoposta agli interminabili provini per C’era una volta in America. Sergio Leone mi scartò perché avevo le tette troppo grandi rispetto al personaggio di Deborah, ma io e Bob diventammo amici». Così inizia il colloquio di Panorama con Sharon Stone, 66 anni, star di film come Basic Instinct, Atto di forza e Gloria, incontrata al recente Torino Film Festival dove ha ricevuto il premio alla carriera Stella della Mole.
«Io ero ancora agli inizi e lui era già De Niro» continua la Stone. «E da quel momento ho fatto di tutto nella mia carriera per lavorare con lui e Martin Scorsese, un vero genio: quando andavo alle lezioni di recitazione non pensavo ad altro». Per tanti anni le domande alla Stone si sono concentrate sulla scena del famoso accavallamento di gambe in Basic Instinct in cui l’attrice mostrava chiaramente, seppur per pochi fotogrammi, di non indossare mutandine: «Paul Verhoeven mi chiese di sfilare il tanga bianco perché rifletteva la luce ed era troppo visibile», racconta l’attrice. «Quando vidi il film pensavo che fosse troppo audace per essere distribuito senza il divieto ai minori. Ma riuscirono a farlo uscire e non immaginavo quanto quella scena e quel personaggio, la ricca scrittrice e assassina Catherine Tramell, avrebbe lanciato la mia carriera». Tuttavia è stato proprio il ruolo in Casinò, con Scorsese e De Niro, a darle il suo unico Golden Globe e la sua sola candidatura all’Oscar. «Quando l’ho ottenuto ero felicissima», racconta «e ho lavorato duro per entrare in quel gruppo così chiuso di amici, formato da Scorsese, De Niro, Joe Pesci e gli altri: tampinavo Martin tutti i giorni perché volevo diventare una di loro. Considero quel film l’apice della mia carriera». Nonostante la candidatura all’Oscar però non ha più girato film di quel livello. «Non so perché sia accaduto. Non mi hanno offerto più un ruolo decente». Certo, fino a poco tempo fa, dopo i 40 anni a Hollywood era impossibile lavorare per una donna: «Mel Gibson non mi ha voluto perché per lui ero troppo vecchia. Poi nel 2001 ho avuto l’ictus che mi ha lasciato in fin di vita. Quando ho capito che avevo solo l’un per cento di possibilità di sopravvivere, ho scelto di dedicarmi alle cose veramente importanti e mi sono creata una famiglia (col secondo marito Phil Bronstein e i tre bambini adottivi, ndr). Ora però che i miei figli sono cresciuti sono tornata sul set: sarò presto nel sequel di Io sono nessuno».
Ha incontrato un certo grado di ingratitudine a Hollywood. Vuol fare qualche nome?
Ho dovuto lottare con le unghie e con i denti per ottenere quello che ai miei colleghi maschi era garantito: per Basic Instinct mi pagarono 500 mila dollari, mentre Michael Douglas guadagnò 14 milioni. Dopo il successo cercai di guadagnare di più ma superare il milione per una donna era considerato un oltraggio per i produttori. È stato difficile.
Poi è diventata produttrice con Pronti a morire.
Sono stata io a far scritturare Sam Raimi, che era un regista di nicchia prima di girare quel western, e sono stata io a suggerire di usare musica contemporanea nel film. E ho contribuito anche a lanciare Russell Crowe e Leonardo DiCaprio. Poi Raimi ha diretto Spider-Man ed è diventato uno dei grandi nomi a Hollywood, ma non si è mai ricordato di me. A differenza di Scorsese, che è rimasto un amico. Però lui è diverso, ha radici italiane. E un forte senso della famiglia e dell’amicizia. Perché voi italiani siete così: avete un rapporto vero anche col vostro fruttivendolo o il macellaio.
Che relazione ha con l’Italia?
Un rapporto davvero di lunga data. Ci sono arrivata giovanissima, avevo 19 anni: sono venuta a Milano per fare la modella. Poi mi sono trovata un fidanzato italiano, che mi ha insegnato un po’ la vostra lingua. La mia carriera è veramente cominciata nel vostro Paese. E ci sono tornata tante volte, anche con i miei figli. Come si fa a non amare un posto dove fanno la pizza più buona del mondo? Amo la vostra cultura e infatti ho in programma di tornare presto per due mostre sui miei dipinti: anzitutto in primavera sarò ospite al Museo dell’Ara Pacis a Roma e poi a novembre tornerò a Torino.
Le piace anche il nostro cinema?
Lo amo, mi manca molto Bertolucci. E poi sono stata felice di lavorare in un episodio di The New Pope con Paolo Sorrentino. Ho tanti amici in Italia, come Dante Spinotti, il grande direttore della fotografia che ho conosciuto sul set di Pronti a morire.
Lei si è impegnata per anni per raccogliere fondi per la ricerca sull’Aids. Come l’ha arricchita l’attivismo?
Ho preso il testimone da Elizabeth Taylor e ci sono voluti molti anni, ma la malattia, oggi, si può tenere sotto controllo grazie ai farmaci. Questo lavoro mi ha insegnato ad abbattere i pregiudizi e a pensare che tutti, ma proprio tutti gli esseri umani sono speciali.
Cosa pensa delle recenti elezioni americane?
Ho votato per Kamala Harris, ma senza sapere chi fosse veramente. Il problema delle democrazie moderne è che non c’è vera scelta. Trump ha vinto, non mi piace, ma da cittadina americana appoggerò la sua presidenza. Ora spetta a lui mostrare cosa vuol fare, e il popolo lo giudicherà. Il mio compito è quello di proteggere i più deboli e le cause umanitarie, e far sì che la politica non se ne dimentichi.