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L’associazione Bambini del Danubio di Trieste accanto a chi soffre da vent’anni

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«Non c’è dare senza ricevere». L’esperienza dell’associazione Bambini del Danubio, fondata vent’anni fa dal top manager assicurativo Sergio Balbinot, presidente di Allianz Italia, si può racchiudere in questa semplice frase.

Il Piccolo lo ha incontrato in occasione della serata benefica Music&Goodness 2024, che ha riunito oltre cento tra volontari, sostenitori e medici per celebrare il ventesimo anno di attività. Dal dicembre del 2004, la Onlus ha curato 302 bambini affetti da malattie gravi. Le terapie somministrate hanno avuto un tasso di successo altissimo, pari al 90%. Solo nel 2024 la realtà ha registrato 74 pazienti, di cui 25 nuovi casi e 49 follow-up.

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Presidente Balbinot, come è nata l’idea di fondare Bambini del Danubio?

«Mi rendo conto di aver avuto tanto dalla vita. Quindi, è stato abbastanza naturale sentire il bisogno di restituire parte di quanto ricevuto. Ci sono tantissime persone che sentono questa stessa esigenza. C’è chi si impegna personalmente verso la comunità, mentre altri preferiscono fare donazioni. Io, assieme a mia moglie, ho scelto una terza strada, quella di fondare un’associazione».

Qual era l’obiettivo?

«Volevamo garantire cure mediche a bambini gravemente malati, appartenenti a famiglie bisognose. Esistono patologie che la scienza può combattere ma richiedono cure costose, difficilmente accessibili in certe situazioni. All’inizio avevamo pensato all’area danubiano balcanica, ma poi abbiamo ampliato il raggio d’azione anche in Sud America, Asia e Africa».

Di che cifre si tratta?

«Pochi si rendono veramente conto quanto costino certe cure, anche perché siamo abituati alla sanità gratuita. Ma per le famiglie che provengono dai paesi extra Ue non esistono accordi con i nostri ospedali. Un trapianto di cellule staminali emopoietiche, spesso indispensabile per salvare la vita a un bambino affetto da leucemia, può costare diverse decine di migliaia di euro. Abbiamo fondato l’associazione anche per affermare che la possibilità di cura non deve essere un privilegio, ma un diritto per tutti».

Dove si svolgono le cure?

«Le cure per le leucemie sono fornite dal Burlo presso il centro di eccellenza diretto dal dottor Marco Rabusin con un team di oltre trenta operatori. Per altre patologie ci rivolgiamo anche agli ospedali di Udine e di altre città in Italia. Gli interventi sono molteplici, si va dalle cure oncologiche a quelle ortopediche, fino agli interventi chirurgici e ai trapianti».

Nel 2004 si rendeva conto delle difficoltà che avrebbe incontrato?

«Certamente no. L’impegno di chi fonda un’iniziativa sociale è solo in parte paragonabile a quello di chi intraprende un’iniziativa economica. L’imprenditore valuta a priori tutta una serie di variabili per accertarsi che l’iniziativa vada a buon fine. Nel sociale, invece, queste variabili non sempre si conoscono, ma si inizia lo stesso e poi al caso si adatta il modello d’intervento. Anche se ci si ferma dopo solo un paio d’anni, non si può parlare di insuccesso perché in quel periodo di tempo, anche se breve, si avrà realizzato il vero obiettivo: donare qualcosa agli altri».

Ha mai pensato di doversi fermare?

«Ci siamo trovati in difficoltà una volta sola, dopo circa tre anni dalla fondazione. All’inizio immaginavamo che saremmo stati una sorta di cassa malattia per bambini bisognosi. Pensavamo di poterci limitare a finanziare interventi estremamente costosi. Ma questo non bastava: i malati gravi hanno bisogno di degenze lunghe, una casa dove stare e persone che si occupino dei loro bisogni. E noi inizialmente non avevamo queste persone».

Cos’è successo allora?

«Si sono fatti avanti alcuni amici e conoscenti che a titolo gratuito hanno deciso di rispondere a queste necessità, andando a prendere i bambini e le famiglie all’aeroporto, risolvendo i problemi burocratici con i Paesi di provenienza, facendo la spesa e facendo sentire a queste famiglie che non solo sole nella loro battaglia. Fondamentale è stato ed è il lavoro della vicepresidente, Klaudia Krizek, capace di coordinare le azioni di tutti gli altri volontari. Non esagero nel dire che, senza di lei, non saremmo arrivati dove siamo oggi».

Che cosa le hanno donato i bambini?

«I bambini ma anche le loro madri ci trasmettono grandi valori come la determinazione, la voglia di lottare, la fede, la serenità anche nel disagio e la riconoscenza. Spesso riescono a trasformare l’esperienza del dolore in speranza e alcuni addirittura vogliono diventare volontari, per restituire quanto hanno ricevuto». —

© RIPRODUZIONE RISERVATA




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