Amianto in Italia: una battaglia ancora aperta
“L’amianto continua a mietere vittime e ogni anno muoiono 5000 persone. Nel 2017 è nato lo Sportello Amianto Nazionale nel tentativo di creare un circuito informativo dedicato ai cittadini. Per questo, attraverso la partecipazione delle associazioni fondate dai parenti delle vittime, che per il dolore subito hanno studiato a fondo il problema, è stato possibile aiutare le persone in difficoltà fornendo loro informazioni utili. Ufficialmente oggi siamo 30 volontari, affiancati da professionisti e tecnici dell’INPS e dell’INAIL. Siamo più strutturati rispetto al 2017. Abbiamo coinvolto 4000 comuni su 8000, ma non è stato semplice fare gli sportelli, infatti abbiamo bussato alla porta di ogni sindaco senza mai esitare”.
Chi parla con la redazione di Panorama.it è il manager internazionale Fabrizio Protti, un uomo che oltre a fare il suo lavoro, si impegna quotidianamente nella battaglia contro l’amianto. Ogni giorno dedica circa 2 ore del suo tempo per sconfiggere il minerale letale. Protti è il Presidente dello Sportello Amianto Nazionale e si batte con coraggio, coinvolgendo il mondo delle imprese, delle istituzioni, della politica e della ricerca. E’ convinto che il problema amianto sia risolvibile soltanto se tutti partecipano attivamente per trovare la soluzione più giusta.
Cosa è stato fatto in Italia durante la battaglia contro l’amianto?
L’amianto è stato messo al bando nel 1992 grazie alle lotte sindacali nate nell’area di Casale Monferrato, dove è nato Afeva, il primo movimento associazionistico dei familiari e delle vittime dell’amianto, che poi è una derivazione della CGIL. Ciò significa che i sindacati hanno contribuito alla stesura della legge 257/92 e che l’associazione delle vittime e i sindacati hanno contribuito a vincere la battaglia per porre fine alla produzione e alla commercializzazione dell’amianto.
Quanto tempo bisognerebbe essere esposti all’amianto per ammalarsi?
Dal 1940 al 1992 in Italia i patrimoni immobiliari sono stati costruiti con amianto. Il coefficiente calcolato per contrarre malattie è la lunga esposizione valutata soltanto in ambito lavorativo. Per una malattia di origine professionale si calcolano 8 ore al giorno per 10 anni ed almeno 100 fibre respirate.
Lei è un manager industriale in ambito internazionale e da oltre 40 anni lavora nel settore. Qual è la sua esperienza?
Il mio interessamento sui danni derivanti dall’amianto è nato dopo aver condotto un’analisi su tutto il mondo legato a questo minerale con l’obiettivo di capire perché il problema in Italia non veniva risolto e cosa si poteva fare per trovare la soluzione più giusta. La mia non è stata un’analisi disinteressata perché negli anni 2010 - 2011 ero direttore dello sviluppo per conto di una società pubblica francese. Questa società proponeva un metodo di inertizzazione dell’Amianto che lo rendeva e lo rende praticamente innocuo.
Che cosa si intende per metodo di inertizzazione dell’amianto?
Inertizzare vuol dire rendere innocuo l’amianto attraverso un trattamento che agisce direttamente sulle fibre del minerale. Queste sono estremamente pericolose per la salute pubblica, però dopo aver applicato i trattamenti sui materiali, queste diventano praticamente innocue, togliendo la pericolosità al minerale.
Grazie allo Sportello Amianto è stata fatta una ricerca sul territorio italiano. Cosa avete scoperto?
Con lo Sportello Amianto Nazionale abbiamo mappato 24.000 chilometri di territorio italiano e quindi, di fatto, abbiamo mappato 1/10 del territorio italiano. Noi stimiamo che sui tetti italiani ci sono 1 miliardo e 200 milioni di amianto a cui bisogna aggiungere l’amianto friabile. Quindi ci sono 30 milioni di tonnellate di amianto. Ciò significa che per smaltire tutto l’amianto presente dovremmo aprire 30 discariche da 1 milione di tonnellate l’una.
Oggi quante sono le discariche in Italia?
Ce ne sono 19 di cui attive soltanto 6. Le altre sono sotto sequestro per problemi amministrativi o di infiltrazione mafiosa. Di queste nessuna riceve amianto friabile, ma ricevono solamente amianto compatto. Il friabile va tutto all’estero. Quindi le famose tubature, gli intonaci quando vengono intaccati, poi in Italia non si sa dove metterli.
Quante discariche dovrebbero esserci in Italia?
Noi abbiamo bisogno di discariche di prossimità, quindi c’è bisogno di almeno una discarica per ogni regione. Ogni regione deve gestire i propri rifiuti di amianto senza mandarli in giro per il Paese.
Ogni anno muoiono 5000 persone per l’amianto. Quali sono le azioni che volete mettere in campo per scongiurare altre morti?
Per i prossimi 30 anni non possiamo fare niente perché purtroppo le malattie correlate hanno una latenza che va dai 20 ai 30 anni. Ma se cominciamo a fare bene oggi, potremmo vedere i primi risultati tra 15 o 20 anni.
Quali sono le attività da mettere in campo con lo Sportello amianto nazionale?
I passi da fare sono i seguenti: mappatura e censimenti dei siti di amianto. Poi è importante agire sul piano discariche per lo smaltimento del minerale. Ma c’è bisogno di fare più attività divulgativa attraverso i convegni. Occorre fare formazione nelle scuole. Poi ci sarebbe bisogno di istituzionalizzare lo sportello amianto per dare accoglienza e informazione al cittadino. Noi oggi siamo in 30 persone e rispondiamo a tutte le chiamate. Se le istituzioni ci aiutassero, potrei tranquillamente ritornare a fare solo il mio lavoro.
Cosa pensa della formazione dei lavoratori?
Non è di secondaria importanza. La formazione dei lavoratori è tra le priorità. Ricordiamoci che ci saranno Paesi da ricostruire come per esempio avverrà in Ucraina, che ha messo al bando l’amianto soltanto nel 2022. Questo significa che le macerie che vediamo in TV sono tutte contaminate dall’amianto.
Qual è la peggiore situazione che ha visto in Europa sulla gestione dell’amianto?
L’Europa dell’est è totalmente indietro. Si raccoglie amianto a mani nude, senza protezione. Dispiace molto guardare tutto questo. Ma il problema dipende da chi gestisce le attività lavorative, a chi le cose le fa. Ricordiamoci che la politica va stimolata e sono proprio i dirigenti che devono fare del loro meglio anche per stimolare la politica.