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La mia Calabria ultima per qualità della vita, ma c’è una nuova speranza: basta coi piagnistei

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L’anno scorso, l’ultima su 117 per qualità della vita era la provincia di Crotone; quest’anno, è Reggio Calabria; e le altre calabresi stanno sotto il 90esimo posto, in cui si assesta, si fa per dire, Catanzaro. Alla notizia, ecco una bella arrampicata sui muri lisci di politici indignati e di professori che cercano di negare il metodo e i parametri; mentre anime poetiche postano, sui social, consolanti foto con cieli e mari, ignari che mari e cieli si fotografano da tutte le parti del Pianeta, tranne Artide e Antartide, che pure mostrano delle altre bellezze, sebbene poco turistiche.

Quello che è curioso è quando qualcuno strilla che l’autonomia differenziata potrebbe far andare peggio le cose. Si tranquillizzi: peggio di ultimo, per grammatica, non c’è niente, e ultimo è giù superlativo sia relativo sia assoluto! La qualità della vita, e sia detto con buona pace dei liberisti e dei comunisti, non si misura a soldi. Facciamo un esempio: un riccone calabrese (ce ne sono!) si compra la Ferrari, però può esibirla mattina di domenica per vanteria, non lanciarla sulle attuali strade che, in massima parte, risalgono a un periodo che non nomino se no a qualcuno viene un malore, quindi contano quasi dieci decenni. A che serve, la Ferrari, al calabro dovizioso?

Lo stesso per la salute e la cultura. La qualità della cultura è, infatti, il contesto; e la cultura non è un elenco di singole persone colte (e tante ce ne sono, in Calabria), ma un ambiente, una situazione reciproca tipo quando Dante e Forese, politicamente scorretti, s’ingiuriavano in versi di tutti i colori. In Calabria si fa cultura per conto proprio o di qualche associazione cui appartiene. Il verbo appartenere è italiano, però in dialetto calabrese ha una maggiore pregnanza di appartenenza. E non pensate a male: ce ne sono, di associazioni, e stanno in città, non certo nelle forre dell’Aspromonte.

La salute. Negli anni 1970-80 la Calabria contava 42 ospedali, in massima parte “presidi ospedalieri” spacciati per ospedali, e tutti con più amministrativi che medici: tanto la gente andava, e va, a curarsi a Milano. Oggi, proteste vibranti e fugaci a parte, tantissimi sono chiusi; e altri non si sono molto ammodernati né per attrezzature né, attenzione, per competenze a usarle. Questione di mentalità anche con i medicinali.

La scuola. Negli stessi anni 1970, in ogni paesello c’era una Media, con preside e segretari, e applicati e bidelli a iosa. Non poco di quanto sopra era, come si legge, assistenzialismo indiretto; e più assistenza c’era, meno erano il lavoro e la produzione. La chiamavano società dei servizi, e si sa come andò a finire. Scuole che non avevano, magari, la palestra, però quanto a programmi e libri e professori, la Media del paesello calabrese era sullo stesso piano di quella di Varese. La Calabria pullula di diplomati e laureati; a tecnici e operai specializzati, magari, non sta bene.

Mi fermo. E nemmeno mi dedico allo sport calabresissimo di cercare il colpevole. La classe politica, del resto non scende da Marte, viene eletta dagli elettori; e, tranne qualche raro caso, liberamente. Un quadro triste. Eppure, negli ultimissimi tempi, appare qualche segnale di miglioramento. Ci sono giovani che fanno impresa giovandosi di risorse locali. Ci sono quelli che non cercano “il posto”, ma il lavoro. C’è chi sta comprendendo che la potenzialità turistica cozza contro la realtà attuale di una caotica e breve balneazione. Forse sono sintomi di una rivoluzione… meglio, di una sana reazione culturale; ed è questa che va perseguita.

Basta con due morbi della mentalità divulgata, che sono o il piagnisteo depresso e deprimente, e, al contrario, la ricerca di nevrotica esaltazione a colpi di sbarchi di Ulisse, lido più bello del mondo, e ricchezze passate e future che mai saranno e mai furono. Il reazionario, invece, non campa di sogni ma vive con i piedi ben fermi per terra, e accetta il fato per poterlo mutare.

L’attuale Giunta Regionale sta facendo, nel complesso, meglio di tutte dal 1970, soprattutto nella sanità. Non c’è però ancora a sufficienza la politica culturale necessaria a cancellare il passato lacrimante e infondere l’ottimismo opportuno. Servono sostegni a una letteratura e un cinema che rompano con i lacrimatoi di maniera e con la narrazione di una Calabria che non esiste da decenni: ammesso, e non concesso, sia mai esistita prima. E lasciatelo dire a chi mastica di storia: la Calabria dei secoli medioevali e moderni non era “arretrata”, e almeno quattro quinti del Pianeta versavano in cattive condizioni. È oggi che è arretrata rispetto all’Italia e all’Europa. Voglio vedere (e scrivere soggetto e scenografia) un film di storia calabrese. Uno? Ce n’è per un filone.

È anche un problema di immagine della Calabria; e quella grigia e singhiozzante, di gran moda e ben finanziata, è una delle cause profonde del trovarsi agli ultimi posti d’Italia. La depressione, infatti, genera depressione, non voglia di reagire. Tornando da dove siamo partiti, le classifiche hanno occupato mezza colonna dei quotidiani. Bisogna, al contrario, che se ne parli con franchezza da adulti, senza inventare infantili scuse.

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