Anche quest’anno c’è “Una poltrona per due” su Italia1 la sera della Vigilia di Natale: ecco perché si finisce sempre a rivedere questo film
Come ogni Natale ecco Una poltrona per due. Questa sera su Italia 1 alle 21.45 c’è il classico “italiano” per le feste. E sarà probabilmente la ventesettesima volta che accade. Il film di John Landis del 1983 sembra quindi aver soppiantato nei gusti natalizi dei film dal “buon cuore” La vita è meravigliosa (1946) di Frank Capra. Guarda caso film in cui si ribaltano le gerarchie sociali ed economiche, in cui si ragiona attorno ad una redistribuzione egualitaria dei redditi. Una poltrona per due, come scrivemmo poche settimane fa quando uscì per tre giorni al cinema (9-10-11 dicembre) è una commedia così baldanzosa e vorticosa nel ritmo, così spudoratamente divertente nel rappresentare l’odiosità dei ricchi e la semplicità dei poveri, che non se ne fanno più da tempo.
Guardandola dall’ottica italiana, Una poltrona per due poteva essere un’idea, un plot, alla Risi o alla Monicelli. I due anziani miliardari wasp della costa est, i fratelli Duke (Don Ameche e Ralph Bellamy), scommettono un dollaro (!) su uno scambio forzato di persona per confermare o meno i loro due differenti assunti filosofici: l’ambiente crea e fa l’uomo (socialismo, vi dice qualcosa?) o è il talento di ciascuno a creare la propria fortuna (iperliberismo please). Le vittime dell’esperimento “scientifico” sono il loro pupillo, l’altezzoso, bianco broker Louis Winthorpe III (Dan Aykroyd) e il mendicante guascone finto storpio nero Billie Ray Valentine (Eddie Murphy). I due vecchietti sono deliziosamente perfidi e disumani nello spogliare Louis dai soldi agli affetti, come di far piovere improvvisamente addosso tutto il suo ben di dio, compreso maggiordomo e Jacuzzi, su Billie Ray. Landis a suo agio con robusti ed estremi stereotipi (i neri, i nazi, i bianchi snob, i dropout) si ispira ironicamente alla poetica di Capra e Preston Sturges, ma fa qualcosa di più. Impone, proprio nella fraternità impossibile tra Louis e Billie Ray, la prostituta Ofelia (Jamie Lee Curtis) e il maggiordomo Coleman (Denholm Elliott), una soluzione molto comunitaria modello New Deal: distrugge i potenti sfruttatori criminali in Borsa (oggi sono e sarebbero drammaturgicamente venerati maestri di vita ndr) e mostrare la gioiosità della convivenza senza distinzioni classiste.
Poi è chiaro Una poltrona per due può essere studiato anche solo per come un regista, autore, creatore come John Landis – mai troppo esaltato per il grande genio che è (stato) – faccia respirare nei suoi film (The Blues Brothers, Un lupo mannaro americano a Londra) un’aria di totale libertà compositiva, di giocosa distruttività di tempi, spazi, certezze narrative. Recentemente abbiamo scoperto che in pieno delirio cancel culture la scena in cui l’infido uomo dei Duke, colui che attua il piano di trasformazione delle vite di Louis e Billie Ray, corrompendo addirittura le forze dell’ordine, viene incastrato e punito da due protagonisti finendo rinchiuso una gabbia dove un ubriaco gorilla (con il costume e mascherone finto ed esibito come tale) lo sodomizza, è stata contestata come offensiva verso la comunità Lgbtq+. Idem per Aykroyd travestito da giamaicano con lucido da scarpe nero in viso e dreadlocks mancante di sensibilità verso la comunità afroamericana. Difficile capire se chi rivaluta ogni due per tre il passato decontestualizzando dettagli e senso del presente dell’epoca sia capace di studiare il significato culturale e simbolico di determinate scelte narrative senza far sentire in colpa chi ne ride e le apprezza. A questi moralisti il Landis dell’epoca avrebbe fatto una sonora pernacchia.
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