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Natale in cassa integrazione, le storie di chi non fa festa dall’auto alle concerie: “Stiamo bruciando i risparmi per badare alla sussistenza”

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L’ultima auto che ha assemblato è stata un’Alfa, erano le prime settimane del 2020 e la pandemia non era ancora iniziata. Da allora Margherita Claverio non è mai più entrata nel reparto Carrozzerie di Mirafiori, la sua casa dal 1988. Paradossalmente proprio il periodo del Covid è stato l’ultimo in cui ha ricevuto uno stipendio pieno, poiché era stata spostata nell’area di produzione delle mascherine. “Poi la cassa integrazione è diventata la mia seconda pelle”, racconta a Ilfattoquotidiano.it quando manca poco più di un mese alla fine degli ammortizzatori sociali. Senza un intervento in deroga, il 14 febbraio scatterà il licenziamento per lei e gli altri 249 che Stellantis aveva dirottato di reparto.

Stefano e l’addio alle vacanze
A Stefano Borgo, invece, restano dodici mesi di speranze e anche lui, durante i momenti più duri del coronavirus, ha lavorato come mai negli ultimi anni. In quel periodo i congelatori a pozzetto hanno registrato un’impennata di vendite, poi la richiesta è crollata e ora lo stabilimento di Siena è uno dei due che Beko vuole chiudere per razionalizzare la sua architettura europea dopo l’acquisizione di Whirlpool. “Non sostenibile in ogni scenario considerato”, ha scritto la multinazionale nelle slide con le quali ha annunciato la dismissione della fabbrica. Stefano ci lavora da quando aveva 19 anni, oggi ne ha 49: “Quanto perdo mensilmente con la cassa? Non saprei, perché non so più neanche quale sarebbe il mio stipendio reale in questo momento. Non ne prendo uno da anni, gli stessi in cui ho tirato la cinghia tagliando su vacanze e cene fuori”, dice.

La crisi delle concerie: “Il periodo più buio”
Non se la passa bene neanche Federica, nome di fantasia, addetta in una conceria del distretto di Santa Croce, nel Pisano. La crisi dell’alta moda – un riflesso anche degli scenari internazionali – ha provocato un’impennata della cassa integrazione e delle difficoltà nel “made in Tuscany” che fornisce il 90% delle pelli al settore: “È un brutto periodo – racconta – Le prime avvisaglie sono arrivate in primavera. Da ottobre continuiamo a fare cassa a rotazione e sarà così anche durante i primi mesi del 2025. Lavoro qui da 23 anni, abbiamo attraversato tanti momenti complicati. Questo però è uno dei più duri”. La sua è una piccola azienda, motivo per il quale preferisce non comparire con nome e cognome: “Al momento non sono in programma licenziamenti, almeno nella mia ditta. Tuttavia di sicuro non c’è più nulla in questo mondo del lavoro”. Per Federica il problema principale non è quello economico: “Finora l’abbiamo sentito relativamente, almeno nella mia azienda perché anticipa la cassa. Ma ci sono sbalzi psicologici, perché non sono abituata a lavorare in maniera intermittente”.

I giorni tutti uguali di Giacomo
Eccolo, il risvolto pratico della cassa integrazione che quest’anno ha fatto registrare livelli record nell’industria: “E pensare che c’è chi ci dice: ‘Siete pagati per non lavorare, vi lamentate pure?'”, nota Giacomo Zulianello, addetto alla linea delle Maserati nello stabilimento di Torino, richiamando alla mente una battuta di Palazzina Laf, il film di Michele Riondino sul mobbing dentro l’Ilva di Taranto nei primi anni dell’era Riva. Qui il discorso è diverso, ma allo stesso modo quel ritornello spesso corre di bocca in bocca e rimbalza nei commenti da bar sport in Rete. Eppure i cassintegrati non sono una classe operaia che va in paradiso. Giacomo ha lavorato una media di 16 ore al mese nel 2024 a causa del contratto di solidarietà deciso per 635 dei 794 addetti: “I giorni sono tutti uguali, non andare in fabbrica stanca”, confida.

La spesa? “Come un cubo di Rubick”
È uno degli operai Stellantis che a settembre si vide recapitare sulla mail l’offerta dell’azienda per comprare una Maserati scontata, proprio lui che non può permettersi neanche un’utilitaria: “Convivo con un fratello disabile. In due ci dividiamo 1.400 euro, 1.150 di ciò che rimane del mio stipendio e 300 euro della sua pensione d’invalidità. Viviamo in affitto. Andare a fare la spesa, ogni volta, è come risolvere il cubo di Rubik: guardi l’offerta, questa sì, butti l’occhio sui cibi in scadenza, vai via dal supermercato con un sacchettino pieno dell’essenziale. Cene e viaggi non sono più contemplati, ma ormai non penso alle rinunce piuttosto a ciò che mi è rimasto: pagare il proprietario di casa e sfamarmi, la mera sussistenza”, dice tutto d’un fiato.

Il “pacco” di Natale di Beko
“Ho iniziato a lavorare nel 1985, ho scelto di vivere in maniera onesta – aggiunge – È quasi una violenza quando ti mettono in cassa, ma non mollo”. Neanche Stefano, che anzi in queste settimane pensa solo alla lotta. Picchetti, manifestazioni. E anche un frigorifero lasciato sotto l’albero addobbato in piazza dal Comune di Siena: “È il pacco di Natale che ci hanno fatto”. Insieme agli altri 298 colleghi della fabbrica ex Whirlpool sanno che tenere alta l’attenzione è l’unica via per provare a cambiare il proprio destino. O almeno per sentirsi un po’ meno soli: “Nel 2024 abbiamo lavorato due settimane sì, due settimane no – ricostruisce – A dicembre l’ultimo giorno ai tornelli è stato il 13 e rientreremo l’8 gennaio. Siamo in sofferenza dal 2009, a parte il boom con il Covid. Negli ultimi 15 anni, insomma, ho sempre fatto almeno due, tre giorni al mese di cassa integrazione”.

I timori per i licenziamenti nel 2025
Poi il passaggio da Whirlpool a Beko, il grande inganno: “Ci aspettavamo un rilancio. Il 2 aprile, giorno del loro insediamento, ci hanno regalato dei semi. Erano un simbolo di rinascita, hanno detto. Invece, mi scuserete, era una presa per il culo”, si scalda sottolineando come in cassa “sembra di essere in ferie” e “perdiamo circa 500-600 euro al mese”. A conti fatti, circa il 35 per cento in meno dello stipendio anche se l’ultima busta paga intera risale a così tanti anni fa che Stefano non è proprio sicuro della percentuale andata in fumo. “Ho una moglie e due figli di 9 e 6 anni – aggiunge – Per nostra fortuna, lei lavora. Ma devi comunque un po’ mettere a posto il bilancio famigliare e fare delle scelte”. Il 2025 proseguirà con altri ammortizzatori sociali, poi il piano di Beko è di licenziare tutti il 31 dicembre: “In fabbrica ci sono tante coppie. Come faranno?”, si chiede Stefano.

“Complicato rimettersi in gioco”
Ma pensa anche a se stesso: “È complicato rimettersi in gioco dopo tre decenni di catena di montaggio, non sono né un idraulico né un falegname”. Nei dintorni di Siena è ormai un deserto produttivo, Beko è rimasto l’ultimo stabilimento manufatturiero. Da agosto a oggi Amadori ha chiuso a Monteriggioni, lasciando in strada 300 dipendenti, e Gsk ha dichiarato 270 esuberi. Con i quasi 300 dell’ex Whirlpool che la multinazionale turca vorrebbe licenziare tra un anno faranno 900 persone occupate in meno in un comune di 50mila abitanti, ancora scosso dallo choc del crac di Mps. “E non si può mica lavorare tutti nel turismo…”, sospira Stefano.

I 18 anni in cassa di Margherita
Margherita potrebbe vivere quel momento a metà febbraio, insieme ad altri 249 dipendenti di Stellantis. A breve inizierà il diciottesimo anno di ammortizzatori sociali a Mirafiori e lei li ha fatti tutti: “La cassa è diventata la mia seconda pelle. Ci sentiamo lavoratori di Serie B, ma dietro il marchio che portiamo addosso, c’è un essere umano. La verità è che ci hanno tolto la dignità, non solo una parte di stipendio”. Ecco, la busta paga: “Prendo 1.050 euro e devo fare tante rinunce. Ho dovuto toccare il fondo pensione per far fronte alle spalle. Ho quasi perso tutto quello che avevo”. Un cambiamento che ti scava dentro: “Ti cambia lo stile alimentare, la vita – riflette l’operaia – In queste settimane tutti hanno voglia di festeggiare, io non posso fare regali. Per me saranno giorni normali”.

“Brucio il futuro per tamponare l’oggi”
Una volta, in questo periodo, Margherita, 57 anni, chiudeva la valigia e partiva. Un salto in montagna, una visita ad amici lontani: “Piccoli lussi che non posso permettermi. Pago le bollette e spero che non mi capitino imprevisti”. Anche un banale malanno di stagione può diventare un problema: “Sono raffreddata da 20 giorni, ho dovuto fare delle cure per le quali era necessario un aerosol. Comprare il macchinario è stato un sacrificio”. Una storia comune a quella di Giacomo: “Ho affrontato un intervento ai denti, i soldi li ho presi dal fondo integrativo con un anticipo. Mi sto bruciando il futuro per tamponare l’oggi. E spero che non si guasti la lavatrice o il televisore”.

I timori per la salute mentale
Lei, come Giacomo e Stefano, ha visto arrivare anche una tredicesima erosa dai giorni di cassa. Un’altra sberla sotto le festività: “In questo periodo – riflette l’operaio della Maserati – tutto è luce e spinta a comprare e gioire, ma provo solo un grande fastidio e non vedo l’ora che sia l’8 gennaio”. Avrebbe dovuto essere il giorno del rientro in fabbrica, ma Stellantis ha comunicato che se ne parlerà qualche settimana più tardi. Giacomo è caustico: “La realtà è che Mirafiori è già chiusa, ogni tanto riapre”. Mentre il circolo vizioso continua: “Qui la cassa è strutturale. Tutto ciò incide anche nei rapporti interpersonali perché si diventa ansiosi e rabbiosi – sottolinea Margherita – Oggi sono una persona diversa, meno serena. Vogliamo lavorare, non chiediamo mica la luna”.

L'articolo Natale in cassa integrazione, le storie di chi non fa festa dall’auto alle concerie: “Stiamo bruciando i risparmi per badare alla sussistenza” proviene da Il Fatto Quotidiano.




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