Cecilia Sala, l’ombra della “diplomazia degli ostaggi” per l’arresto di un iraniano a Malpensa: l’ipotesi
Giovedì 19 dicembre doveva essere il suo ultimo giorno di lavoro in Iran. L’indomani Cecilia Sala sarebbe rientrata in Italia con un volo già prenotato. Ma intorno all’ora di pranzo, quando da un po’ di tempo non rispondeva più al telefono, è stata prelevata nell’albergo dove alloggiava a Teheran e accompagnata in carcere; quello di Evin, alla periferia della capitale, dove vengono rinchiusi i dissidenti e gli stranieri sospettati di avere rapporti con l’opposizione al regime, e in cui due anni fu segregata la blogger romana Alessia Piperno, liberata dopo 45 giorni.
“Il motivo del suo arresto non è ancora stato formalizzato”. “Non sappiamo” perché è stata arrestata in Iran. “E questa è la grande domanda. Fino ad oggi, e sono passati 9 giorni con oggi, non è stata formalizzata alcuna accusa, non si sa perché è nel carcere di Evin, non si sa perché è in isolamento. È incomprensibile ed è una cosa intollerabile per l’Italia che accada questo”, dice il direttore di Chora Media, Mario Calabresi, intervistato a ‘Il Cavallo e la torre’ su Rai3. Chora Media, è la Podcast company italiana per la quale la giornalista realizza ‘Stories’ (Cecilia Sala lavora anche per ‘Il Foglio’). Secondo vari retroscena, bisogna fare un passo indietro di un giorno per comprendere perché la Sala sia finita nel carcere di Evin. La giornalista potrebbe trovarsi al cento di una braccio di ferro tra il regime iraniano e l’Italia.
Cecilia Sala e l’arresto dell’iraniano a Malpensa: l’ipotesi in gioco
Il giorno prima che Sala venisse arrestata era stata annunciato il fermo – lunedì 16 dicembre allo scalo milanese di Malpensa – di un cittadino dalla doppia cittadinanza svizzera e iraniana: Mohammad Abedini-Najafabadi. Lo riporta il Corriere della Sera. Si tratta di un tecnico trentottenne accusato dal tribunale di Boston di «associazione a delinquere finalizzata alla violazione dell’International Emergency Economic Power Act; e per la fornitura di supporto materiale a un’organizzazione terroristica straniera». L’uomo era segnalato con una red notice sui terminali della polizia di frontiera, mentre negli Usa è stato arrestato un suo presunto complice, Mohammad Sadeghi. Dunque, la coincidenza con il fermo in Italia di un cittadino svizzero-iraniano di cui gli Stati Uniti reclamano l’estradizione, lascia aperta l’ipotesi che la giornalista sia rimasta impigliata in un intrigo internazionale che non avrebbe nulla a che vedere con il lavoro che stava svolgendo a Teheran.
Perché Cecilia Strada potrebbe essere stata arrestata in Iran
Entrambi gli arrestati- uno a Malpensa, l’altro negli Usa- sono accusati dai procuratori della Corte federale di Boston di cospirazione per esportare componenti elettronici dagli Stati Uniti all’Iran: in violazione delle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni e sulle sanzioni. Abedini è accusato anche di aver fornito il supporto materiale al Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, considerate dagli Usa una organizzazione terroristica, che ha poi portato alla morte di tre militari statunitensi, uccisi da un attacco con un drone su una base in Giordania. Ora si trova nel penitenziario di Busto Arsizio e il Dipartimento di Giustizia americano dovrà formalizzare la richiesta di estradizione. L’ultima parola spetterà al ministro della Giustizia italiano. Se questa vicenda sia collegata con l’arresto di Cecilia Sala è in via di definizione.
La “diplomazia degli ostaggi”
Le date, in questo intreccio, sono importanti: Abedini viene fermato il 16 dicembre, ma la notizia viene però data due giorni più tardi, il 18. A distanza di meno di 24 ore, Cecilia Sala viene portata a Evin. L’ipotesi dell’intreccio tra le due vicende viene accreditata anche da Reuters e dal Financial Times. Un retroscena che renderebbe più complesso e delicato il lavoro diplomatico che sta effettuando il governo italiano. Si torna a parlare della cosiddetta “diplomazia degli ostaggi” che più volte ha consentito alla Repubblica islamica di usare i detenuti come leva per ottenere favori o la liberazione di iraniani detenuti all’estero. Cecilia Sala potrebbe dunque inserirsi in questo meccanismo perverso.
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