Non a caso, OpenAI si sta ristrutturando e a breve non dovrebbe essere più una non-profit
Come abbiamo visto nell’articolo di introduzione del nostro monografico di oggi, i soldi sono molto importanti anche per OpenAI. Senza soldi, sembra impossibile potenziare in maniera efficace i propri prodotti. Senza un controllo proprio sui soldi, si faranno sempre più gli interessi degli investitori e non quelli di chi sta al vertice della società (leggi Sam Altman). Per questo, lo status di non-profit che ha caratterizzato OpenAI sin dall’anno della sua fondazione – il 2015 – comincia a stare stretto al suo founder e al suo board. Negli anni, proprio in virtù di questa forma societaria, Microsoft – che con i 10 miliardi di dollari versati risulta il principale investitore di OpenAI – ha avuto voce in capitolo nelle scelte fatte dall’azienda di Sam Altman e ha potuto beneficiare di una serie di vantaggi da implementare sui suoi prodotti. Nell’ultima parte di questo 2024, tuttavia, sembra che le cose siano profondamente cambiate, anche nei rapporti tra le due realtà. E il fatto di aver messo nero su bianco che, una volta raggiunti i 100 miliardi di profitti, Microsoft e OpenAI staccheranno i reciproci cordoni ombelicali non fa altro che alimentare queste voci.
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OpenAI diventa PBC: cosa cambia con l’evoluzione della struttura societaria
Il board ha annunciato che, da oggi in poi, OpenAI diventa una PBC, ovvero una public benefit corporation. Si tratta di una formula prevista dall’ordinamento americano e che consente alla società di avvantaggiarsi con dei profitti, pur lavorando in un campo definito di interesse pubblico. Nel 2015, quando OpenAI era stata fondata (e tra i suoi pionieri c’era anche Elon Musk) aveva scelto lo status di non-profit. Nel 2019 aveva leggermente ritoccato il suo statuto per consentire a investitori esterni (come Microsoft, appunto) di finanziarla, ma – nella sostanza – non era mai stata in grado di generare dei profitti.
Adesso la musica cambierà. OpenAI si sente pronta a fronteggiare la sfida dell’intelligenza artificiale generale, che potrebbe consentire di fare il salto di qualità, quel passaggio di stato che non soltanto comporterebbe dei cambiamenti essenziali per la storia dell’umanità, ma farebbe volare la società di Sam Altman in tutt’altra dimensione economica. Cosa fa sentire OpenAI così sicura di questo? Con Giornalettismo abbiamo monitorato l’attività della società nell’ultimo anno: a distanza di pochi mesi è stata in grado di proporre ben due modelli che hanno l’obiettivo di avvicinarsi all’AGI (o1 e o3), con il secondo modello che è estremamente più performante del primo. Significa, insomma, che ha imboccato una strada evolutiva che non è possibile arrestare e che i modelli successivi all’o3 avranno delle prestazioni ancora più avanzate. Se questo avverrà – e potrà avvenire solo se la società avrà fondi sufficienti da gestire in maniera autonoma, senza la mediazione degli interessi degli investitori esterni -, allora OpenAI avrà il pieno controllo dello sviluppo dell’intelligenza artificiale a livello globale.
Per questo, con una comunicazione ufficiale, OpenAI ha annunciato il cambiamento di struttura societaria, auspicando – questo non è stato detto, ma è sottinteso – l’emancipazione dai suoi investitori e dal potere che, fino ad ora, gli investitori hanno avuto sulle scelte di OpenAI. Il tutto agita le acque nella Silicon Valley. Elon Musk – che aveva già fatto causa a OpenAI – ha trovato un insperato alleato in Mark Zuckerberg, uno dei principali concorrenti di OpenAI nella partita dell’intelligenza artificiale. I due hanno richiesto l’attenzione delle autorità economiche americane sull’operazione: a loro non torna che una società non-profit possa trasformarsi così facilmente in una società benefit, nel momento in cui si sente pronta per sovvertire le regole del mercato.
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